Economia

Telecom Italia non sarà una public company

Telecom Italia non sarà una public company

Il collocamento delle azioni di Telecom Italia è stato coronato da successo. L’interesse dei risparmiatori è stato grande, ed il sistema dell’informazione non ha mancato di farlo notare, con un certo trionfalismo. Con una terminologia di tipo brasileiro, si è detto : la più grande privatizzazione del mondo. Eppure non è tutto oro quello che riluce.

Penso che i piccoli risparmiatori, che hanno comperato azioni Telecom, abbiano fatto un buon affare. Nel senso che la società è ricca, la quotazione ancora non ne rispecchia il valore reale, e vi sono ampi margini per assicurare succosi dividendi. Ciascuno di quei risparmiatori, quindi, può ritenersi soddisfatto, ma essi non saranno mai una collettività che pesa e Telecom Italia non sarà una pubblic company. Non si dimentichi, difatti, che nel mentre le azioni venivano poste in vendita, già si era costituito un gruppo di proprietari stabili e questi avevano già espresso un nuovo consiglio d’amministrazione. Come dire ai nuovi arrivati : accomodatevi al banchetto, ma non disturbate il manovratore.

C’è di più. Il nuovo consiglio d’amministrazione è composto da consiglieri di alto livello, e non è senza significato che, a rappresentare il nuovo, siede anche chi, per molti anni, è stato il vice presidente della Stet. Rinnovamento nella continuità, si direbbe in politichese. Attorno a quel tavolo, quindi, si faranno discussioni assai interessanti, ma, almeno a guardare la composizione, raramente si parlerà di telecomunicazioni. Il che è singolare.

Del resto, una tale singolarità si ritrova anche ai vertici della società, ove siede un presidente che non si occupa della gestione industriale, ed un amministratore delegato che non mette lingua sulle questioni finanziarie. In dottrina una simile dicotomia non sembrerebbe possibile, nella realtà, invece, l’abbiamo sotto gli occhi.

Le azioni Telecom, dunque, sono andate a ruba, ma questo non influirà minimamente sugli assetti interni. Curioso. All’interno, infine, ad occuparsi di telecomunicazioni ci sono i soci stranieri, ed è difficile credere che la cosa non avrà il suo peso, specie se, come a noi sembra, il tutto è avvenuto nella più totale confusione sulle strategie di politica industriale che la società dovrebbe darsi.

Ancora una osservazione sul grande successo di pubblico. In giro per il mondo si considerano a rischio i profitti dei gestori dominanti. Questo perché il mercato delle telecomunicazioni si è andato aprendo dal punto di vista regolamentare, e destrutturando dal punto di vista tecnologico. A fronte di questo, in Italia, tutti corrono a comperare le azioni del gestore dominante. Evidentemente sono tutti convinti che resterà tale e, per il breve e medio periodo, non si sbagliano. Difatti, il governo (che sprizza felicità per la realizzata privatizzazione) ce la sta mettendo tutta per ritardare ogni possibile apertura alla concorrenza; e l’imprenditoria privata, i potenziali concorrenti, ce la stanno mettendo tutta per rassicurare Telecom sulle sue sorti future.

Ecco, potrebbe sembrare un quadretto idilliaco. Si tratta, in realtà, della materializzata arretratezza del mercato italiano, delle conseguenze della cultura del monopolio, nonché dell’arretratezza del mercato del risparmio, per cui si concedono profitti al popolo bue, ma nulla che abbia a che vedere con la trasparenza del mercato. In molti, di tutto ciò, gioiscono. A noi rimane il dubbio che non si stia parlando dello stesso avvenimento.

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