Giustizia

Libro galeotto

Libro galeotto

Un detenuto annuncia di volere iniziare lo sciopero della fame se non gli concederanno di avere più libri. Il detenuto è Marcello Dell’Utri. Avverto il lettore che lo conosco. Non ci ho mai lavorato, ma m’invitò a presentare miei libri. Una volta capitò che intervenne (cosa non consueta, di solito era parco di parole), per leggere al pubblico alcune pagine di un presunto diario di Benito Mussolini. La caccia ai libri persi è una sua passione. Gli dissi: la prossima volta avvertimi. Perché, domandò, ti ha dato fastidio che leggessi Mussolini? No, per niente, ma avrei portato con me qualche pagina di Ernesto Rossi, o la testimonianza di Randolfo Pacciardi, tanto per ricordare di che pasta erano fatti gli uomini che si opposero al fascismo senza sperare in altre dittature. Conosco Dell’Utri, quindi. Non ho nulla da dire delle sue frequentazioni e della sua condotta, che mi sono estranee. Sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa, inesistente nel codice, ho già scritto. Su questa sentenza lo ha fatto Filippo Facci. Aggiungo una sola cosa: a me da fastidio che chi è stato per anni al suo fianco, o lo ha avuto al fianco, non ripeta che se lui era mafioso allora quel giudizio deve estendersi anche all’intero gruppo. O invocare la propria incapacità. Ma non è di questo che oggi voglio occuparmi.

C’è qualche cosa di perverso nell’idea che si possano centellinare i libri ai detenuti. Ed è ancora più perverso che si facciano dei passi indietro, anziché avanti. La legge che regola l’ordinamento penitenziale risale al 1975. In quello si legge (articolo 18) che “i detenuti e gli internati sono autorizzati a tenere presso di sé i quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita all’esterno e ad avvalersi di altri mezzi d’informazione”. Nel giugno del 2000, però, è stato emanato un decreto del Presidente della Repubblica, che regola gli istituti di pena. L’articolo 21 stabilisce che “la direzione dell’istituto deve curare che i detenuti e gli internati abbiano agevole accesso alle pubblicazioni della biblioteca dell’istituto, nonché la possibilità, a mezzo di opportune intese, di usufruire della lettura di pubblicazioni esistenti in biblioteche e centri di lettura pubblici”. Bene, ma già al secondo comma si trova un concetto stonato: “nella scelta dei libri e dei periodici si deve realizzare una equilibrata rappresentazione del pluralismo culturale esistente nella società”. Il che suggerisce un livello culturale claudicante, fra i redattori della norma: ciascuno legge quello che gli pare. Se un libro richiesto non fosse disponibile, ma normalmente in circolazione, si dovrà fare in modo di procurarselo, senza palloccolosi discorsi sul pluralismo. Il guaio arriva, però, con l’articolo 44, che stabilisce il diritto per i detenuti studenti di tenere “nella propria camera” (la cella) i libri necessari allo studio. Andrebbe anche bene, se non fosse che molti regolamenti interni ci leggono non un diritto, ma una limitazione: gli studenti possono tenerli, mentre per gli altri si può disporre diversamente. E’ così che in taluni carceri puoi avere solo un libro, in altri due, in altri ancora tre. Il che segna una regressione anche rispetto alle carceri fasciste: Antonio Gramsci poteva tenere in cella molti libri, compresi quelli che Piero Sraffa gli spediva da Londra. E la lettura dei Quaderni gramsciani, più edificane dei diari mussoliniani, ne è una dimostrazione.

Perché mai al detenuto Dell’Utri dovrebbero negare libri nella misura da lui richiesta? Si dovrà tenere conto delle disponibilità del carcere, o attendere che arrivino le copie richieste ed eventualmente mancanti dalla biblioteca, ma perché non dovrebbe averli, leggerli, studiarli nella quantità che preferisce? Il che non vale certo solo per Dell’Utri, ma deve valere per tutti. Sarebbero benemeriti gli appelli dei direttori delle carceri che invitino i cittadini a non buttare libri, ma a spedirli in quelle particolari biblioteche, e invitino le case editrici a non mandare tutto al macero, ma destinare alcune copie a quel circuito, per definizione fuori dal mercato. E’ inaccettabile l’opposto: i libri li abbiamo, ma non te li diamo.

L’Italia è costantemente sotto accusa, in sede internazionale, per il disumano sovraffollamento delle carceri e il conseguente e inaccettabile livello di vita interna. Avere una popolazione carceraria in percentuale scandalosa composta da non condannati, da presunti innocenti, è una vergogna. Non avere posti a sufficienza rispetto a quanti devono scontare una pena, è riprovevole. Ma non dare loro i libri è sadismo irragionevole. Una forma di tortura miserabile.

Un antenato dei Malatesta che fondarono la meravigliosa biblioteca di Cesena, Paolo, si ritrovò a leggere assieme a una giovane di Rimini, Francesca. Dante ritrae il momento in cui giunse il bacio: “galeotto fu ‘l libro”. L’inferno in cui finirono appare nobile e delicato, rispetto a un inferno terreno in cui il libro non è galeotto, ma prigioniero dell’ottusità regolamentare.

Pubblicato da Libero

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