Giustizia

Squilibrio Cucchi

Squilibrio Cucchi

Una cosa è certa: Stefano Cucchi è morto mentre era nelle mani dello Stato, ricoverato, da detenuto, all’ospedale Pertini di Roma. Una seconda cosa è evidente: la giustizia non riesce a trovare equilibrio, in una vicenda precipitata nel mentre faceva il suo corso.

Arrestato il 15 ottobre del 2009, Cucchi fu poi portato in ospedale. Dopo pochi giorni morì. Le foto del cadavere sono state pubblicate per ogni dove e si deve fare uno sforzo per attenersi ai canoni della civiltà: non tocca a noi formulare sentenze, ma ai tribunali, dopo un regolare processo. Vale sempre, anche se spesso lo si dimentica. Il processo serve a stabilire se in quella morte ci sono delle colpe ed eventualmente di chi. L’appello aveva già assolto tutti i medici. La Corte di cassazione, però, ha cancellato quella sentenza e rinviato a un nuovo appello, che ora è alle sue battute finali. Poi si tornerà in cassazione. Se va bene, alla fine, saranno passati otto o nove anni. E’ un tempo impressionante, considerato che il cittadino Cucchi, appunto, è morto in casa della giustizia.

E’ un tempo impressionante per gli imputati, che se confermati nella loro innocenza avranno passato troppo tempo in una condizione terribile, mentre se sono colpevoli hanno passato troppo tempo senza essere puniti. E’ un tempo impressionante perché nel suo scorrere altri cittadini si sono trovati come si trovò Cucchi, senza che una sentenza chiara facesse da punto di riferimento.

Nel corso della requisitoria (le sue conclusioni) il pubblico ministero ha definito Cucchi: “vittima di tortura, come Giulio Regeni, si tratta solo di stabilire il colore delle divise”. Ho l’impressione che si fatichi ancora, a trovare equilibrio, in questa faccenda. Nel corso di un processo può ben starci il richiamo ad altri casi analoghi, ma avviene per richiamarne le sentenze, passate in giudicato. Serve per citare il precedente, cui si chiede al tribunale di avvicinarsi. Ma il caso Regeni non solo non ha sentenza, ma si è lontani assai dal ragionevole accertamento dei fatti. Le notizie giunte da Cambridge, con i suoi professori che si rifiutano di rispondere ai procuratori italiani, invocando la segretezza degli studi che svolgeva, hanno un che di inquietante. Lasciano supporre che il non detto è ancora prevalente sul detto. Non sappiamo in che circostanze è stato ucciso Regeni, ancor meno da chi, non sappiamo se lo scempio si deve all’operato delle forze di sicurezza egiziane, o da chi, magari fra loro stessi, ha agito in quel modo per procurare problemi al governo e alla polizia, né sappiamo se c’è lo zampino di qualche non egiziano, magari desideroso d’increspare le acque nei rapporti fra l’Egitto e l’Italia, sappiamo, però, che il corpo di Regeni è stato straziato.

Il caso Cucchi è molto diverso. Se i trattamenti fossero stati gli stessi, anche il capo d’accusa è sbagliato: non omicidio colposo, ma sevizie inferte con crudeltà, per uccidere. Le condanne richieste (la più alta è quattro anni di reclusione) sarebbero sproporzionate. Il compito dell’accusa è quello di dimostrare la colpevolezza degli imputati. Con le prove, non  a poco convincenti e pertinenti chiacchiere.

Pubblicato da Libero

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