Idee e memoria

Visibilità islamica

Si dovrebbe dare maggiore spazio e rilievo alla voce di molti mussulmani. La macchina dell’informazione deve sempre essere libera di pubblicare quel che crede, ma ne è anche responsabile. A forza di battere sempre lo stesso tasto si finisce con il far credere che quella sia la sola musica esistente, ed è non solo un errore, ma anche una colpa. Ne vediamo i pessimi effetti in molti campi, anche in quello che il pubblico sa della crisi greca. Sul tema dell’estremismo islamico, però i concerti monotoni ci costano troppo.

In molti hanno sollecitato gli islamici che non condividono il fondamentalismo a non limitarsi a tacere, ma a far sentire, chiara e netta, la loro condanna. Più che giusto. Ma quando taluni lo fanno ottengono una visibilità di gran lunga inferiore a quella dei tagliagole. E’ ovvio, si può sostenere, perché la seconda è notizia assai più forte. Ovvio un corno, perché così ci facciamo del male. Così facciamo il gioco dei peggiori.

In Marocco hanno creato una scuola (noi diremmo università) per le guide della preghiera (imam), in modo da formarli non solo lontano, ma in grado di contrastare il fondamentalismo. Iniziativa benemerita, che meriterebbe d’essere conosciuta di più. In Tunisia il leader di Ennahda, movimento islamico e partito di governo, Rachid Ghanouchi, ha condiviso l’iniziativa, dopo gli attentati, di chiudere temporaneamente 80 moschee. Dice: “per me è quasi banale ripetere che siamo noi musulmani moderati le prime vittime del terrorismo jihadista”. Dalil Boubakeur, imam di Parigi, si spinge assai oltre, sostenendo che quello salafita “è un tipo di indottrinamento che rende pazzi”. E aggiunge che: “si potrebbe lottare con più determinazione, contro gli integralisti. Sappiamo dove sono. Ci sono 90 centri salafiti in tutta la Francia (…) si tratta di persone capaci di passare all’azione”, vanno arrestati.

In troppi si sono affezionati alla spiegazione dell’attacco islamista contro l’occidente, oltre tutto paventando una nostra possibile e forse prossima capitolazione. Non credo affatto che capitoleremo mai, ma è difficile far rientrare in quella categoria le bombe nelle moschee (sciite). Dire queste cose non porta ad abbassare la guardia e l’allarme, al contrario: serve a prendere bene la mira, prima di sparare. Altrimenti, ripeto, si fa il gioco dei peggiori e dei nostri nemici.

A molti piace ripetere che la spinta assassina è nelle scritture islamiche. Questo è il frutto dell’ignoranza religiosa: conoscessero le scritture dei monoteismi saprebbero che quegli inni al sangue sono piuttosto diffusi. La grande differenza è che in una cattedrale o in una sinagoga a nessuno passa per la testa di leggere quei passi per intrattenere i fedeli, mentre in certe madrasse s’insegnano solo quelli. Mica differenza da poco. Così come è vero che ci sono zone d’ombra e contiguità, come in molti fenomeni devianti, del resto (c’erano nel terrorismo italiano, o tedesco). Ragione di più per imparare a distinguere e per dare piena evidenza alle zone di luce. Non per bontà, ma per convenienza.

Una guerra di religione è in corso, ma interna all’islam. Quella che ci riguarda è diversa. Per i quaedisti eravamo satana, per gli odierni jihadisti siamo il bersaglio con cui provano a ricattare gli altri islamici. Dobbiamo reagire, eccome. L’Is e simili imbecilli fanatici meritano d’essere spianati con le armi. Ma per farlo dobbiamo capire e distinguere, non accomunare e confondere. Siamo perfettamente in grado di vincere una guerra di civiltà. Quella che ci ucciderebbe è una guerra d’inciviltà.

Pubblicato da Libero

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