Il commento di oggi

Cala il gettito fiscale, che non aumentino le tasse

La flessione delle entrate fiscali era attesa e ne avevamo parlato, ora arrivano i numeri, che segnalano, paragonando i primi due mesi del 2009 con quelli dell’anno precedente, un meno 6,6%. Mancano all’appello 4 miliardi, la metà di quel che serve per l’Abruzzo. Leggendo attentamente, però, si conferma che il nostro male consiste in troppe tasse. Guai ad aumentarle.
La gran parte del gettito mancante è dovuto all’Ires, le imposte sulle società, che registrano un inquietante meno 64,2%. Mentre la flessione dell’Ire, le imposte sul reddito (ex Irpef), si ferma a “solo” meno 2,2. Questo significa che la sofferenza è forte nel mondo produttivo, mentre ancora non si è trasferita ai redditi reali. La diminuzione dell’iva (-9,7), del resto, suggerisce una diminuita propensione alla spesa, che peserà sul mercato.
Al tempo stesso, se prendiamo i risultati degli accertamenti fiscali, si scopre che nel secondo semestre del 2008 sono raddoppiati rispetto al primo e che, quindi, il governo accusato di coprire gli evasori s’è dimostrato assai più occhiuto ed indagatore di quello che lo ha preceduto, secondo il quale pagare le tasse era “bellissimo”, seguendo una dottrina che avrebbe trovato in Ecclestone un sicuro ed entusiasta seguace. Se poi si guarda alle cifre “recuperate”, il rapporto diventa imbarazzante: 16 miliardi chiesti agli evasori, rispetto ai 4 della prima parte dell’anno. Con un’avvertenza: sono soldi virtuali, perché, normalmente, non si è capaci d’incassarli realmente.
Snocciolati i dati, cerchiamo di capirli. Il paragone fra i primi due bimestri è ragionevole se si pensa al calendario, ma ingannevole se si tiene presente la realtà. Infatti, a gennaio-febbraio del 2008 la crisi non era nelle previsioni di nessuno e, anzi, si pensava a come tassare di più banche e grandi imprese con vantaggi di settore (petrolieri, ad esempio). Un anno dopo si era già dovuto mettere mano al portafoglio pubblico per salvare quelli che prima si voleva spremere. E tanto basti a descrivere il quadro complessivo della preveggenza.
Corrette, invece, erano le analisi sugli svantaggi competitivi dell’Italia, determinati da un costante calo della produttività, quindi della competitività, da una perdita relativa di quote nel commercio internazionale, da una spesa pubblica fuori controllo ed una fiscalità che la insegue ed alimenta. Il tutto condito con intollerabili rigidità del mercato interno. Così era e così è.
Ora che il gettito cala, facendo crescere il deficit ed alimentando il debito, sarebbe un terribile errore pensare di compensarlo con maggiore pressione fiscale, laddove, all’opposto, va contrastato con meno spesa pubblica improduttiva e più investimenti, capaci di attivare un moltiplicatore virtuoso mediante il riaccendersi della fiducia di chi torna a lavorare e si tranquillizza sul futuro. In tal senso il governo ha resistito, anche davanti al terremoto, e gliene va reso merito. Manca ancora, però, l’avvio di riforme vere, profonde e durature, che testimonino di un consapevole cambio di mentalità. E’ l’occasione della crisi, che ci sta scivolando dalle mani.

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