Politica

Agguati e faide

Dice Gianfranco Fini che, da ora in poi, non voterà quel che non  condivide. Perché, prima votava anche quel che gli faceva senso? Dice che, da ora in poi, il governo dovrà contrattare, con lui e con i suoi, ogni singolo provvedimento. Perché, prima come funzionava? Oltre tutto, preso dalla foga, deve essersi dimenticato un paio di particolari: a. ci sono dei finiani che siedono al governo, sicché sarebbe singolare non dicessero la loro, nella sede propria; b. egli è il presidente della Camera, ovvero il titolare delle regole del gioco, non il proprietario del pallone. Il fatto è che le cose stanno in modo diverso: spinto a creare un partito proprio, composto in modo disomogeneo e senza una storia comune alle spalle (Alleanza Nazionale l’aveva, sebbene non encomiabile), Fini ha perso un’importante rendita di posizione, consistente nell’essere prima il cofondatore e poi la minoranza del più grande partito italiano.
Da ciò discendono alcune cose, prima fra le quali che in caso d’incidente parlamentare, se la sua ridesta coscienza gli impedirà di approvare quel che prima plaudiva, verrà considerato parte dell’opposizione. In queste condizioni può anche non dimettersi, e sono certo che non lo farà, ma non sarà sufficiente ad evitare che si dichiari aperta una crisi istituzionale. A quel punto si giocherà la pelle, perché se la sua truppa parlamentare, nell’incrudelirsi della pugna, s’infoltirà, aggregando volontari per la lotta di liberazione dal berlusconismo, allora avrà di che gettare sul tavolo della trattativa quirinalizia, dopo la caduta del suo alleato di ieri, ma se, come sembra più probabile, il furore della battaglia e il volteggiare delle elezioni anticipare suggerirà a taluni dei suoi di marcar visita, quando non  di saltare nell’altra trincea, allora sarà finito. Come si finisce nella politica italiana: si resta lì, senza contare una cippa, si parla perché si è parlamentari, mentre, al contrario, si dovrebbe divenire parlamentari perché si ha qualche cosa da dire.
Dopo di che? Se Silvio Berlusconi riuscirà a convincere i leghisti che vale la pena giocare la seconda parte della legislatura, smettendolo di far finta che non esista quel che tutti vedono, ovvero un dialogo niente affatto occulto con i centristi, la maggioranza si allargherà più di quanto si sia ristretta. Se, invece, non riuscirà a superare l’egoismo verde, a convincere Umberto Bossi che un eccesso di potere di condizionamento e ricatto porta male e porta alla disfatta, allora sarà imboccata la via delle elezioni anticipate, per la quale tornerebbe assai utile un atto parlamentare che offra al Presidente della Repubblica pochi margini di manovra. In tal senso il ricicciare delle intercettazioni telefoniche, dello scarafone che non piace nemmeno a mamma sua, è solo un sintomo, ma significativo.
Il lato surreale di tutta questa vicenda è che un partito si spacca, la minoranza costituisce una propria identità, ma tutti continuando a ribadire che intendono sostenere il governo, tutti continuando a far riferimento al medesimo programma, sicché quasi vorrebbero far credere che tutto questo macello sia successo perché si vuole affermare il diritto dei moribondi di morire, o quello degli omosessuali di sposarsi, o quello degli immigrati a votare, posto che i moribondi morivano e muoiono, con eutanasia, anche adesso, il matrimonio degli omosessuali è cosa eccentrica, probabilmente sostenuta a causa di una tale passione per la famiglia che condusse i medesimi politici prima a battersi contro il divorzio e poi a divorziare, mentre gli immigrati che diventano cittadini hanno già il voto in quanto tali, e quelli che sono clandestini o vogliono tornarsene a casa loro non  si vede perché debbano eleggere quelli che tassano gli altri. In ogni caso, sono tutte materie interessanti, sulle quali ho sempre molto apprezzato (scrivendolo) che Fini e i suoi abbiano cambiato idea (tanto più che quelle di partenza erano repellenti), ma fatico a credere che su uno o tutti quei temi si fondi nulla di simile ad una forza politica. In altre parole: è nata una forza politica, ma non una proposta politica. Il che appartiene più alla passione per le faide di palazzo che alla fantasia della storia.

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