Politica

Draghi e le urne

I giornali d’oggi annunciano risultati elettorali che già tutti conoscono e fanno l’eco a commenti politici già archiviati. E’ l’inesorabile lentezza della carta stampata nel mondo della comunicazione elettronica. Eppure la parola scritta resta il mezzo più adatto a capire e, se possibile, prevedere. Quello che succede lo avevamo visto e descritto per tempo, come oggi leggiamo un verdetto che solo il propagandismo può annettere alla vittoria della sinistra. La metterei così: le forze dello statu quo hanno perso la presa, la realtà comincia a scivolar loro dalle mani. Sarà un processo non breve e non indolore, che piegherà le istituzioni e minerà l’intero sistema politico. Sarà un’occasione, ma solo a patto che non sia l’ennesima avventura. Proviamo a ragionare su quel che deve ancora accadere, proprio questa mattina, quando Mario Draghi prenderà la parola per le sue ultime “considerazioni finali”.

Il governatore della Banca d’Italia farà un quadro della situazione, esaminando l’influenza dei mercati internazionali sui conti di casa nostra. I primi saranno presto accantonati, nei commenti. E’ vero che le variabili economiche sono prevalentemente fuori dalla portata dei governi nazionali, esercitando un ruolo determinante. Ma non fanno parte del discorso interno, che più appassiona. Il governatore, quindi, riconoscerà i meriti del rigore finanziario, elogiando una disciplina di bilancio fra le migliori d’Europa. Dato importante, visto che s’avvia a presiedere la Banca Centrale Europea. Dopo di che, però, passerà a esaminare, con tono pacato e fermo, i guasti strutturali dei nostri conti e del nostro mercato, a cominciare dalla crescita rallentata, ricordando la necessità di porvi rimedio in tempi stretti. La prima cosa sarà sbandierata dal governo, a proprio vanto. La seconda sarà brandita dall’opposizione, che ne attribuirà la responsabilità alla maggioranza. Qualche osservatore, meno aduso al clangore delle sciabole, farà notare che si tratta di mali antichi, ma il punto veramente rilevante è chiedersi se si tratta anche di mali permanenti e futuri.

Per evitare che sia così Draghi tornerà a delineare le necessità del nostro mercato, che, in definitiva, sono le medesime della nostra società: premi alla produttività, incentivi alla competitività, meritocrazia, allentamento dell’asfissia burocratica e fiscale. Questi principi hanno declinazioni specifiche in ogni settore, dalla scuola al mondo del lavoro, dagli obblighi contributivi ai privilegi pensionistici, dal sistema di tassazione alla regolazione delle gare, dalla giustizia alla spesa pubblica. Tutte cose che conosciamo a memoria, che abbiamo ripetuto fin oltre la nausea, ma che si schiantano tutte contro il muro ottuso di una politica concentrata nella rappresentanza delle tifoserie piuttosto che nella rappresentanza degli interessi. Nella sostanza non ci sono in giro ricette radicalmente diverse da quelle tante volte illustrate, ma neanche ci sono in giro soggetti politici interessati ad altro che a fregare gli avversari.

La sinistra che ha vinto le elezioni amministrative è la stessa che si batte, in vista dell’imminente referendum, contro la “privatizzazione dell’acqua”, che non solo non esiste, ma, nelle modalità fin troppo tiepide previste dalla legge, è il minimo si possa fare per evitare il disastro idrico. La sinistra che vince, la stessa che saluterà con gioia arcigna le parole di Draghi, è la stessa che va in direzione esattamente opposta. E, del resto, al governo è vero che ci sono le forze che hanno varato quella legge, ma è anche vero che lo hanno fatto solo perché una direttiva europea lo imponeva e si sono guardate bene dal difenderla. Questo è il dramma italiano, mica chi mette la fascia di sindaco.

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