Politica

Plebisciti ed imbrogli

Ci sono due cose che non riesco a gradire: i plebisciti e gli imbrogli. Il prossimo 18 aprile, con il referendum sulla legge elettorale, si celebrerà il matrimonio fra il plebiscito e l’imbroglio. Siamo tutti invitati ma io, con dolore, non ci sarò.

L’Italia ha un Parlamento in cui le forze politiche che hanno dato l’indicazione di votare Si sono la stragrande maggioranza, a questo si aggiunga tutta la cretinissima retorica antipartitica, di cui sono protagonisti i partiti, ed avrete le coordinate di un plebiscito in cui è già assolutamente scontato che la percentuale dei Si sarà elevatissima. Dato che l’anagrafe mi ha risparmiato di partecipare ai plebisciti fascisti lascerò che l’intelligenza mi risparmi di prendere parte a quelli odierni.

A questo si aggiunga l’imbroglio: il referendum non abroga affatto la quota proporzionale, è solo un guazzabuglio illeggibile (alla faccia della chiarezza del quesito) che serve a dire che, dopo il referendum, si deve fare una nuova legge. Quindi si va alle urne per un bel niente, e questo è un imbroglio.

Si lamentano, i leaders referendari, perché i mezzi d’informazione non danno sufficiente spazio al dibattito sulla prossima scadenza. Sciocchi, ringrazino il cielo che non si va a spiegare agli italiani il come li si sta raggirando. Questi esibizionisti profumati, questi cercatori d’immagine, questi leaders senza programma e senza idee, questi virtuosi dello slogan, questi trasversali senza linea meriterebbero davvero una maggiore attenzione. Piacciono a se stessi in una maniera imbarazzante.

Al matrimonio fra i vizi, quindi, non andrò. Non siederò accanto al trasformismo ed all’opportunismo, non brinderò con il sondaggismo e non strizzerò l’occhio al parente storpio ed inquieto: il ggentismo. Mi asterrò con dolore, perché abituato a pensare all’urna elettorale come ad un diritto e come ad un dovere. Spero che molti sentano il dovere del dolore.

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