Politica

Primarie a perdere

Le primarie nascono come trovata propagandistica, senza reale competizione, per poi divenire una trappola politica. Perché praticate in assenza di regole, in mancanza di reale oggetto del contendere (non esiste il candidato presidente del Consiglio) e senza valore programmatico. L’impressione è che Matteo Renzi si renda ben conto che una sua vittoria farebbe esplodere la sinistra, destinandola forse ad una campagna effettivamente vittoriosa, ma provocando la fine di un equilibrio e di una storia. Per questo sembra accettare di competere per non prevalere, consegnando la sinistra ad una probabile vittoria, ma effimera, in modo da posizionarsi a futura memoria. Se avesse avuto in mente qualche cosa di più sostanziale e immediato avrebbe rotto adesso, una volta appreso che le regole cambiano in corso d’opera.

Se le primarie fossero una cosa seria non si stabilirebbe che i votanti prima accettano la piattaforma programmatica e poi scelgono il loro beniamino. Cos’è, un concorso di bellezza? I candidati incarnano linee politiche diverse e non sono intercambiabili. E’ chiaro che se vincesse Renzi i seguaci di Niki Vendola si troverebbero a disagio. E’ evidente che se vincesse Vendola i moderati farebbero fatica a seguirlo. Mi sono sentito dire, anche in pubblici dibattiti: lei si sbaglia, perché non esisterà mai un’alleanza fra Pd e Udc prima del voto e non ci sarà una spaccatura fra il Pd e Sel. Chi lo sostiene manca di senso della realtà: è già avvenuto. Non è un’ipotesi, ma un fatto: in Sicilia il Pd è alleato con l’Udc (avendo in comune l’avere fatto nascere e l’avere sostenuto Raffaele Lombardo), mentre Sel presenta una proposta concorrente, in accordo con Idv. E’ già storia.

La sottoscrizione preventiva del programma, quindi l’accordo preventivo con un’alleanza che contiene insanabili incoerenze programmatiche, così come la scelta di adottare il doppio turno, sono cose che hanno una sola motivazione: concentrare i voti sul punto d’equilibrio, sulla posizione mediana (direi “dorotea”), quella di Pier Luigi Bersani. Chi accetta questa premessa accetta anche il risultato annunciato. Perché, allora, Renzi china il capo, chiudendo la partita via sms?

Al sindaco di Firenze non manca il coraggio e il piglio. Lo ha dimostrato. S’è mosso nell’evidente convinzione che lo spazio elettorale da occupare non è ideologico, né cementato dall’appartenenza o tenuto assieme dall’odio verso l’avversario, ma raccolto attorno a un’idea non plumbea e rassegnata del futuro italiano. Purtroppo, a quel che sembra, ritiene che tale disegno sia perseguibile solo dall’interno di un partito esistente. Né mi sento di dargli tutti i torti, solo osservo che se non si ritiene libero e aggredibile il mercato elettorale ne consegue che non si avrà mai la forza di affermare programmi men che ripetitivi dell’esistente.

Molti richiamano l’esperienza di Tony Blair, che non pensò mai di uscire fuori dai binari del Labour. Semmai lo portò a cambiare binario. E’ vero, ma il paragone non regge: lì c’era una tradizione secolare e un sistema istituzionale concepito per garantire la stabilità governativa, da noi i partiti cambiano nome di continuo, sperando di far dimenticare anche quel che sono (il partito più antico, in Parlamento, è la Lega, roba da pazzi!), e il sistema istituzionale è bollito, sicché le elezioni non fanno nascere governi, ma premiano coalizioni destinate a sfasciarsi.

La destra di oggi ha anticipato i tempi, sfasciandosi ancor prima del voto. La sinistra, però, non salverà la propria scombiccherata coalizione, in caso di vittoria. Succederà quel che è già avvenuto e che non potrà che ripetersi. Forse Renzi pensa di conservarsi per quel momento. Peccato che nel frattempo il mondo se ne fa un baffo delle nostre beghe e ci spingerà verso gli aiuti europei, così vincolando il programma dei governi futuri. Quel momento, insomma, rischia di arrivare troppo tardi. Sarà, allora, patetico pensare che l’Italia si preparò a quell’appuntamento giocando con i soldatini delle primarie, facendo tutti finta di credere a uno dei più clamorosi illusionismi berlusconiani: che gli italiani eleggano il capo del governo.

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