Politica

Si vota

Penso che si andrà a votare, molto in fretta. Chi crede che vi siano altre possibili soluzioni, evidentemente, o non ha compreso la natura della crisi del governo Prodi, o ritiene che il Quirinale abbia qualche buon argomento per costringere il Pds a non completare il cammino iniziato.

Chiarisco, allora, perché le elezioni sono la prospettiva più probabile, ed anche la migliore.

Si, certo, lo ha scritto bene il Direttore, ieri, Rifondazione ha tirato troppo la corda, ed ha proposto un patto impossibile : né il Pds, difatti, né Prodi potevano permettersi di far rotolare la testa di Cofferati. Ma, a ben vedere, non è solo Bertinotti ad essere stato rigido, anche gli altri non hanno scherzato e, benché costretti dal Quirinale ad un inutile prova di mediazione, non hanno lasciato margini affinché riuscisse. Perché?

Perché D’Alema ha ricercato con determinazione la rottura a sinistra. L’ha voluta e provocata. Non poteva permettere che continuasse l’andazzo dei primi tempi, con Prodi e Bertinotti che si sostenevano a vicenda, collocando il Pds in un ruolo scomodo. E rompendo a sinistra, D’Alema, ha tolto dalle mani del Polo tutto l’armamentario retorico dell’anticomunismo.

Una simile strategia, lucidamente perseguita, necessita di uno sbocco elettorale, giacché, in caso contrario, si esaurirebbe il vantaggio conquistato e rimarrebbe solo il disastro dell’impossibilità di rifare i patti di desistenza. Qualsiasi governo oggi nascesse, nascerebbe contro D’Alema e contro il Pds.

Ma, si dice, il Quirinale si oppone ad un simile disegno, ed ha gli strumenti per far perdere tempo. Si, è vero, ha quegli strumenti, ma non potrà utilizzarli, almeno non come vorrebbe. Il punto è, infatti, che se il Quirinale si mette a far melina, con incarichi esplorativi e governi istituzionali, si carica sulle spalle la pesante responsabilità di un lungo esercizio provvisorio (in mancanza dell’approvazione della legge finanziaria) e di un equilibrio politico precario ed in potenziale crisi prima dell’arrivo ai cambi fissi. In altre parole, la melina quirinalesca ci porterebbe dritti dritti fuori dall’Europa. Il che non ce lo possiamo permettere e non (sia consentito dirlo a chi è sempre stato europeista) per questa melassosa e stucchevole retorica da melodramma, ma per il più concreto motivo che salterebbe il quadro delle nostre alleanze internazionali.

L’ipotesi più indolore, allora, è quella delle elezioni immediate. Elezioni che l’Ulivo farà fatica a vincere, senza il patto di desistenza, ma elezioni che, al tempo stesso, il Polo farà fatica a concludere con la conquista della maggioranza assoluta degli eletti nei due rami del Parlamento. Taluno guarda ad un simile risultato come ad una iattura, a me sembrerebbe una benedizione. Consentirebbe di dare vita ad un governo di più ampia coalizione, capace di chiudere il processo di avvicinamento all’Europa (apertosi con Giuliano Amato), capace di garantire la continuità necessaria per varare le riforme istituzionali e, quindi dare vita ad una democrazia dell’alternanza.

Ma non corriamo troppo, restiamo alle cose di oggi. Qualsiasi governo istituzionale segnerebbe solo l’equilibrio degli sconfitti, e preluderebbe alla sconfitta del maggioritario, dato, anche, che premierebbe elettoralmente tutti i suoi nemici. Si tratta di un prezzo che il Quirinale pagherebbe volentieri, che già altri ne ha pagati danneggiando le istituzioni repubblicane. Ma si tratta, per gli altri, di un prezzo troppo alto.

Condividi questo articolo