Politica

Innumerevoli

Sembra un dettaglio, ma è questione enorme. Sembra anche un problema facile da risolversi, salvo che non si risolve mai. Né si può far finta di niente, intanto perché è a dir poco disdicevole, poi perché ci facciamo una figura barbina in sede europea, infine perché da quel dettaglio si capisce il perché si continua a parlare di tagli lineari alla spesa pubblica, mentre una seria revisione resta fra le cose enunciate e mai praticate: difficile modificare e razionalizzare una spesa che non si conosce nemmeno.

Osserviamo questo spicchio, per capire il problema del cocomero. Dal 2004 la legge assegna all’Istat il compito di redigere e tenere aggiornato l’elenco delle società pubbliche. Già è strepitoso che fino a quel momento non se ne fosse sentito il bisogno, emerso grazie alle regole contabili europee che descrivono in modo preciso cosa debba intendersi per rientrante nel perimetro della spesa pubblica e, quindi, le caratteristiche dei soggetti pubblici che quella spesa maneggiano. Com’è ovvio e giusto, quel tipo di società ha gli stessi obblighi contabili e amministrativi delle società a capitale privato (tanto più che ne ha la stessa veste giuridica), ma a quello si affiancano gli obblighi e la trasparenza della rendicontazione pubblica e la possibilità di risponderne innanzi alla Corte dei conti. Ed è anche per questa ragione che in quell’elenco molti non ci vogliono entrare, sperando di potere conservare i soldi pubblici e i costumi privati.

In vent’anni l’Istat è riuscita a censirne 10.500, ma in troppi casi ha dovuto affrontare e ha in corso vertenze giudiziarie in sede sia amministrativa che contabile oppure innanzi alla Corte di giustizia, e ciò perché tanti degli inseribili nell’elenco si oppongono fermamente al doverci entrare. Eppure l’Istat non è che abbia un interesse specifico ad avere quell’elenco più o meno lungo – a parte il fatto che 10.500 è già un numero enorme – ma è tenuta ad applicare le regole e le definizioni europee, altrimenti né i numeri societari né la reale entità della spesa pubblica sono confrontabili in sede Eurostat (ovvero il sommarsi di tutte le Istat nazionali europee). Ragione per cui, vent’anni dopo, anziché seguire l’esempio dei moschettieri di Dumas, l’Istat preferirebbe deporre la spada e passare il duello al Ministero dell’Economia: che lo stabiliscano loro quante e quali sono le società pubbliche.

Ciò significa che, nell’ordine, non è chiaro: a. quali siano i criteri oggettivi e non discutibili per cui una società di diritto privato è da considerarsi pubblica (la Rai, per dire, è una società per azioni ma non c’è dubbio alcuno che sia pubblica); b. quale sia la sede unica in cui eventuali contenziosi possano essere risolti; c. quali e quante siano le società pubbliche; d. a quanto esattamente ammonti la spesa pubblica. In queste condizioni non si farà mai una seria revisione della spesa, o spending review che dir si voglia, perché non sai neanche cosa revisionare.

Conosco l’amministratore delegato di una grande società per azioni che s’è proposto di revisionarne la spesa. Ha chiesto agli uffici contabili di avere tutti i numeri e gli hanno portato i dati aggregati, come si fa sempre a quel livello. «Grazie – ha detto loro – ma adesso mi portate tutte le pezze d’appoggio». S’è messo a spulciarle, comprese le ricevute dei ristoranti, chiedendo notizie della salute di quello che aveva messo in conto una cena di tre persone che avevano consumato sei fette di torta. Costa fatica, ma è il solo modo per controllare: può darsi fossero golosi, ma può anche darsi che abbiano fatto pagare di più l’azienda per poi andare a mangiare gratis.

Per tagliare coscienziosamente la spesa la devi conoscere nel dettaglio, altrimenti fai i tagli lineari: quelli che facciamo da anni, con il rischio di ridurre troppo spese essenziali e di intaccare troppo poco spese del tutto inutili. Se non peggio.

A parte che se non si sa quante società pubbliche esistono è difficile che si sappia a che servono, quel che è certo è che se non conosci il dettaglio tocca pagare a piè di lista. E, per giunta, i soldi non sono di chi autorizza la spesa. Piccola cosa? Può darsi, ma è di queste piccole cose che si compongono le grandi rovine.

Davide Giacalone, La Ragione 11 ottobre 2024

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