L’idea che si possa fare dello Stato un ristorante contiene un doppio errore. Peccato che il ristoro sia sostenuto anche dal presidente di Confindustria, inducendo a credere che non siano chiare le caratteristiche e le conseguenze di quel che accade.
Il primo errore consiste nel supporre che lo Stato possa risarcire chi subisce un danno senza poi dover essere a sua volta rifuso. Lo Stato non è il regnante che possiede tutte le ricchezze e graziosamente ne scuce taluna a beneficio di questo o quel suddito. Se quel che si preleva poi non lo si versa, si produce il debito in capo a ciascuno. Con l’idea che lo Stato possa pagare senza limiti noi ne abbiamo prodotto talmente tanto che ci costa caro. L’idea, come supposto da Orsini, di usare i soldi del Pnrr e dei Fondi europei per alimentare il ristorante non è una soluzione contabile, ma una dissoluzione della speranza che quei soldi possano servire a quello per cui era stati stanziati e presi, ovvero a investimenti che accelerino la crescita. Che la resa porti il marchio degli imprenditori la dice lunga.
Il secondo errore è anche peggiore – visto che il primo fa un po’ parte della tradizione – e consiste nel credere che quello presente sia un trambusto passeggero. Con la pandemia la logica dei ristori aveva un senso: stringere i denti, evitare di perire e sperare che passi in fretta. Ma quel che arriva dagli Stati Uniti è una roba di maggiore spessore e di lunga durata. Apparecchiare il ristorante significa non avere capito quel che capita e che, per le imprese, comporta la riscrittura dei listini, il ripensamento delle catene di vendita e la ricerca di nuovi mercati nel mentre si fa pressione sugli importatori americani perché siano loro a spingere per la fine di quel che, comunque, non è imminente finisca. Sono scossi gli equilibri economici globali, ridisegnati gli equilibri e i dazi arrivano dopo l’avere affermato che i confini possono essere spostati con la forza, che Putin è affidabile e che gli europei sono parassiti. Se non si vuole passare dal ristorante alla mensa e dalla mensa al digiuno sarà bene aprire gli occhi.
Trump è ancora forte, come dimostra la marcia indietro di Bessent, segretario al Tesoro che vede e comprende il disastro. L’assedio si sposta verso la Federal Reserve, per ottenere un abbassamento dei tassi e la svalutazione del dollaro. Quindi chi esporta negli Usa dovrà condividere il peso del dazio (che se scenderà negoziando resterà comunque un peso, minore dell’annunciato e maggiore dell’esistente) e incassare valuta che perde valore. Roba che non si ristora, ma che si affronta in un fronte comune europeo.
È vero che Musk – sussidiato dalla spesa pubblica americana e anche dalla nostra – ha scoperto i pregi del liberoscambismo, sicché si ha l’impressione che se la si pensa come lui si è all’opposto di Trump e viceversa. Ma il soggetto debole è Musk, sarà lui a essere espulso. Ammesso non lo sia di già. E non accadrà quel che accade con quell’irresponsabile demagogo che porta un nome che non merita, Robert Kennedy: il segretario alla Sanità che, dopo essersi distinto per svalvolate propagande no-vax e complottiste, ora che i bambini americani muoiono per il morbillo suggerisce quel che è chiaro all’ultimo degli sprovveduti europei e cioè che il rimedio è il vaccino. Non accadrà che si rimangino sconfinamenti e dazi, perché sono parte di una linea politica dai risvolti quasi mistici. Sono elementi della missione che quella politica si è assegnata: depurare l’Occidente dagli ideali occidentali e inseguirne la potenza restaurando un passato inesistente.
L’opposizione migliore si trova nelle Borse (ieri anche ingannate con l’ipotesi di una moratoria) e nella realtà. Lì si trova la forza che può fermare lo scempio. Ma uno sconquasso simile capovolge le istituzioni e non soltanto chi le abita. Trump ne parlerà a cena con Liz Truss (ma nel sistema inglese si poté mandarla via subito, tema su cui meditare). Chissà se negli Usa la Sec e il controllo di Borsa, insider e aggiotaggio esistono ancora.
Davide Giacalone, La Ragione 8 aprile 2025
