Politica

Strettoia

giacalone editoriale la ragione 16 aprile

Rientra nella normalità che si parli tanto dell’incontro che ci sarà domani, alla Casa Bianca, fra il padrone di casa e la nostra presidente del Consiglio. È meno normale che se ne parli come se il tema centrale fosse la scelta fra provare a rappresentare gli interessi europei o far valere quelli italiani. Discutere di questo dilemma – inesistente – è in sé illustrativo di una mancata consapevolezza collettiva, che si riflette nel dibattito pubblico, circa le condizioni reali in cui ci troviamo e la strettoia che si deve affrontare.

Ancora ieri il presidente della Duma, il (falso) Parlamento russo, ha chiesto l’allontanamento del rappresentante diplomatico europeo. La Russia vede nell’Unione Europea una minaccia esistenziale per lo spazio del dominio che esercita e un ostacolo per quello che vorrebbe esercitare. Noi siamo una minaccia non per le armi: tutta la propaganda sui confini russi minacciati è falsa in ogni suo vocabolo, non essendo esistito né ipotizzabile alcun attacco. Noi rappresentiamo una minaccia per quel che siamo, per il successo civile ed economico. Perché, come ricorda Goulard in un suo libro, nei primi anni Novanta le economie della Polonia e dell’Ucraina erano sostanzialmente equivalenti, ma poi la Polonia è entrata nell’Ue e nel 2021, prima dell’ultima invasione russa, il Prodotto interno lordo polacco ammontava a 679 miliardi, mentre quello ucraino a 200. Noi siamo quei 479 miliardi di differenza, siamo la libertà e la ricchezza. Ed essendo questo attiriamo tutto quello che ci sta intorno. Un’attrazione che per la Russia è una minaccia, perché dimostra il fallimento storico e morale del loro sistema, che non attira nessuno e trattiene o prende soltanto con le armi.

Non è che siano mancate le parole, da parte statunitense, tendenti a sottolineare quanto noi dell’Ue si sia stati scaltri e profittatori nell’arricchirci a discapito degli Usa. Ciascuna di quelle affermazioni poggia su un pregiudizio che non trova conforto nei numeri e nei fatti, ma comunque trasudano un fastidio quasi fisico nei confronti di un mercato che si considera dinamico e aggressivo, al punto da dovere essere colpito con dazi che ne fiacchino le capacità competitive. Il fatto che ci ricordino ogni giorno il disavanzo commerciale, a nostro favore, rende evidente come ci si considera dall’altra parte dell’Atlantico. Semmai tendendo a esagerare la nostra forza, non certo a sottovalutarla.

Vi sono ragioni diverse, ma nel gioco del dominio globale l’Ue è considerata un soggetto coeso e temibile, che si parli sia la lingua dei confini che quella dei commerci. E non è per niente un caso che i seguaci di Trump e quelli di Putin siano largamente gli stessi ed entrambi si distinguano per antieuropeismo. Il favore che vorrebbero fare ai loro riferimenti consiste nel dividere e indebolire l’Ue. Sicché sarebbe anche il caso di farla finita con questa rappresentazione lamentosa e perdente, con questa gnagnera dell’irrilevanza che troppi europei fanno di sé e troppa pubblicistica riporta perché non riesce a fare i conti con la nostra potenza.

In queste condizioni non esiste nemmeno l’ipotesi di andare alla Casa Bianca a cercare una sponda che aiuti a distinguersi dal resto dell’Ue, perché sarebbe autolesionismo. Né si va a rappresentare l’Ue, perché si rappresenta da sola e perché restiamo un Paese sovrano dei nostri rapporti politici. La missione, pertanto, consiste non nel fare gli ambasciatori o i guastatori ma nell’aiutare a far capire che la partita a dividere e indebolire è non soltanto perdente ma anche nociva per gli stessi americani.

Sperando che nessuna turbativa esibizionista guasti il clima dell’incontro, dobbiamo poi porci il nostro problema interno: non si può essere atlantisti ed europeisti con attitudine riluttante. Sia nella maggioranza che nell’opposizione c’è chi pensa che si possa stare al tavolo migliore sputacchiando ogni tanto nei piatti. L’Italia ha fatto le sue scelte migliori e più produttive quando non è dipesa dagli sputacchiatori.

Davide Giacalone, La Ragione 16 aprile 2025

Condividi questo articolo