Idee e memoria

Breivik il vile

La strage norvegese è stata una tragedia. Su quella, però, se n’è innestata una ulteriore, relativa al modo in cui la notizia è stata diffusa e analizzata. Mi riferisco sia all’iniziale attribuzione al fondamentalismo islamico sia alle cose che abbiamo ascoltato e letto sul pazzo che l’ha messa in atto.

L’istintivo errore d’attribuzione è rivelatore di un riflesso condizionato. Il nostro mondo, quello delle libere democrazie, quello sviluppato e occidentale, ha perso il suo nemico totale con il crollo dell’impero sovietico. La distruzione, a furor di popolo, propiziata da anni di duro scontro politico e militare, di quel confine, tracciato sulle macerie della seconda guerra mondiale, ha consentito la nascita di un mondo globalizzato, con mercati aperti, competizione e libera circolazione. Siamo noi, i trionfatori. Dentro questo mondo s’è incistata un’infezione maligna, un morbo medioevale: il fondamentalismo islamico. Lo abbiamo ripetuto tante volte, ma vale la pena tornarci: non l’islam, non i mussulmani, ma il fondamentalismo. Quello islamico ha preso forma d’organizzazione terroristica, ma tutti i fondamentalismi sono pericolosi, comunque demenziali.

Da qui, appunto, il riflesso condizionato: se un’esplosione di follia investe e copre di sangue la nostra normale vita il pensiero subito corre a quell’infezione. Indirizzo sbagliato, in questo caso. Ma si è riusciti a sbagliare anche riconoscendo l’errore.

Anders Behring Breivik non è un fondamentalista cristiano, non è un massone, non è un neonazista, è un pazzo, un vigliacco, un norvegese con la mente e la morale malate. Un rifiuto d’umanità che ha coltivato il culto di sé stesso, non riuscendo a prendere atto d’essere un fallito, un nessuno, un coglione. Come si fa a non capire che i suoi ritratti pubblicati ovunque sono un’istigazione per altri falliti con il culto di sé? E cosa c’entra il fatto che leggesse Stuart Mill, o Machiavelli, o citasse Churchill? Una cosa è sicura: di tutti questi non ha capito una sola parola. Può avere avuto i libri di Kafka od Orwell, ma il cervello gli è annegato nei videogiochi.

La polizia norvegese ha di che interrogarsi sulla possibilità che un simile scarto di civiltà potesse essere individuato e neutralizzato prima. Non era facile, perché le nostre sono società libere, dove i ragazzi che partecipano ad un campo estivo politico (beati loro che li hanno ancora, da noi la politica non li merita più) non pensano di doversi difendere da uno che andrà a sparar loro. Ma avere erroneamente attributo la morte insensata al fondamentalismo islamico non giustifica affatto che ora si finisca, per colpa condizionata, a parlare di fondamentalismo cristiano. Perché non esiste. Né ha senso ripubblicare i manifesti con cui le SS cercavano d’arruolare norvegesi. Perché questo è scherzare con il fuoco. Piuttosto che questi accostamenti suggestivi, destinati più a far danno che a suscitare una condanna, già totale e generale, si suggerisca la lettura di Littel (Le Benevole), tanto per ricordarsi quanto accattivante possa essere la turpitudine antisemita.

Quel vigliacco di un Breivik non poteva sperare altro, nella vita, che avere quel che ha avuto: la prima pagina di tutti i giornali, con la sua bionda imbecillità in posa. Non c’era e non c’è alcun buon motivo per accontentarlo. Quel che ha fatto era inimmaginabile, ora tutti, i norvegesi in testa, abbiamo il diritto di sapere che mai più nella vita lo incontreremo da qualsiasi parte. E se nasceranno i gruppi di ammirazione, non si abbia timore nello sbaraccarli.

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