Politica

Il nodo è al pettine

Siamo arrivati al cuore del problema europeo, nel mentre la liquidità massicciamente immessa dalla Banca centrale europea compra il tempo compra il tempo di mezzo, nel quale viviamo. Terminata questa parentesi saremo in una realtà che non potrà somigliare al recente passato. Questione di pochi mesi, o settimane, a seconda di come i mercati s’atteggeranno. Il nodo venuto al pettine è quello dell’integrazione: o si procede convergendo sempre di più o, inevitabilmente, si rimbalzerà verso una divisione. Da quello dipende la sorte dell’euro, tutt’altro che già definita e tranquilla.

Quando Angela Merkel chiede che un commissario europeo possa attivamente interferire con i bilanci degli stati aderenti all’Unione monetaria, ha ragione: se la sorte è comune non si vede perché uno o pochi possano essere liberi di comprometterla. Il fatto è che il governo tedesco non propone una cessione omogenea di sovranità, che andrebbe bene, ma una sua versione asimmetrica, per cui taluni la perdono, altri la riducono e altri ancora l’accrescono, dominando sui vicini. E questo non va affatto bene, perché mette in conto a pochi (e noi fra questi) il costo di un problema collettivo. Se può esistere un centro di comune controllo e coordinamento dei bilanci ne devono esistere anche per quel che riguarda la fiscalità e il governo dei debiti. In altre parole: se federalizzazione deve essere che federalizzazione sia, ma non a spizzichi e bocconi. Procedendo à la Merkel si otterrebbe l’esatto contrario di un’Unione, vale a dire un dominio.

Dove il governo tedesco casca, ed hanno fatto bene Hollande e Monti a farcelo cascare, è sull’autorità bancaria europea. Anche qui: se integrazione deve essere, allora non può lasciare fuori il mercato del credito, che con una moneta unica non può che essere unico (e aperto alla concorrenza) per l’intera Uem. Ai tedeschi non piace, perché preferirebbero mantenere le mani libere sulle loro banche, che sono anche centri di potere del federalismo interno. Comprensibile, ma non accettabile.

La politica della Bce ha portato al raffreddamento della speculazione, con conseguente discesa degli spread (è capitato a noi come agli spagnoli). Bene, questo è l’effetto del tempo che è stato comprato. Ma poi finisce, non può continuare a lungo, specie se dovesse cambiare la politica della Fed, la banca centrale statunitense. Quel giorno il nodo dovrà essere sciolto, o strappato. Sarà pure doloroso, ma non c’è alternativa. Siccome preferisco che s’imbocchi la via della maggiore integrazione, portando disciplina in casa nostra, tagli alla spesa e dismissione di patrimonio pubblico per abbattere il debito, così come si deve portare anche in casa altrui, avverto di una conseguenza che la federalizzazione porterebbe con sé: l’Unione esterna a quella monetaria diverrà zona di minore peso e integrazione. In altre parole: paesi come l’Inghilterra diventerebbero più distanti, pur mantenendo le conquiste unitarie fin qui fatte, a partire dallo spazio comune per merci e persone.

Non sono tutte rose e fiori. Per stringere alcuni vincoli se ne dovranno allentare altri, e dopo anni di continua espansione, l’Unione sarà come se fosse ristretta. Non è un dramma. Anzi, forse è l’unica via seriamente europeista che si possa percorrere. Ma comporta sincerità nel descriverla e lucidità nell’avventurarsi. La Tobin tax, ad esempio, è una solenne sciocchezza, che dimostra assenza dell’una e dell’altra.

Condividi questo articolo