Politica

L’avido

Carlo De Benedetti e Marco Tronchetti Provera hanno deciso di dimostrare che il presunto “salotto buono” è, in realtà, un saloon dove ci si tira le sedie in testa, dando luogo a una rissa in cui i torti abbondano e le ragioni scarseggiano. Intanto l’oggetto del vecchio contendere, ovvero Telecom Italia, procede verso la sua infausta sorte. Il governo l’accompagna condolente, degno continuatore di una lunga condotta indolente. Tornerò a occuparmene. Oggi m’intrigano le sputacchiate in doppiopetto.

Sono affascinato da Carlo De Benedetti. Il quale, in realtà, forse neanche pensava di scatenare una rissa con Tronchetti Provera, ma ce l’aveva con Roberto Colaninno, che gli soffiò l’affare e la società e che, saggiamente, se ne sta zitto. Dell’altro ha solo detto che continuò lo sfascio avviato dal suo vecchio ragioniere. Siccome Tronchetti Provera ha risposto (per le rime), sono volate le sedie. Calma, portate da bere al pianista: Tronchetti Provera ebbe il merito di riportare la proprietà di Telecom in Italia (incredibile, ma a Colaninno fu permesso di scalarla con una società lussemburghese!) e di riavviare gli investimenti; ebbe il demerito di indebitarla ulteriormente, per reincorporare Tim, e di portarle via gli immobili, per metterli in un’altra sua società (Pirelli Real Estate). I guai cominciarono ben prima, e De Benedetti ne sa qualche cosa. Oggi dice: se questi sono i capitani coraggiosi (Colaninno e Tronchetti Provera), “preferisco le partecipazioni statali”. Certo, che le preferisce. Vediamo perché.

Di quel sistema, retto da quelli che allora erano chiamati “boiardi” e che, a paragone dei successori, si deve dire che avevano un altissimo senso delle aziende e dell’interesse generale (ma, inevitabilmente, erano nominati dalla politica), scrivevo allora che andava aperto al mercato. In tal senso lavorammo, con successo. Credo fosse giusto. In realtà fu subito saccheggiato dai mercanti, talché condivido il rimpianto debenedettiano. Purtroppo, per me, non ne condivido i soldi che ci fece.

In breve: nel 1994 il governo Ciampi assegna alla Omnitel di De Benedetti la vittoria della gara per il secondo gestore della telefonia cellulare. La cosa interessante non fu la vittoria, ma la gara. I concorrenti erano tre: Ominitel, Pronto Italia (gli americani di Pacifc Telesis, che assistevo, più imprese italiane) e Finitel, una cordata facente capo a Fininvest, quindi Berlusconi. L’ultimo era esclusa, dato che il capo s’avviava verso Palazzo Chigi. Quando si dice il “conflitto d’interessi”. Il primo incorporò il secondo. A proposito di chi fa da terminale degli americani, per italianizzarne i costumi. Definirla “gara”, pertanto, è ardito. Ma questo è niente.

Nel 1997 Olivetti (di cui De Benedetti resta presidente fino al 1999, anche se tende a dimenticarlo) acquista la rete di telecomunicazioni delle Ferrovie dello Stato (e Lorenzo Necci pagò cara la sua opposizione), per 700 miliardi di lire, rateizzati in 14 anni. Dopo un anno rivende tutto a Mannesman, alla modica cifra di 14mila miliardi di lire, da pagarsi sull’unghia. E volete che l’ottimo Ingegnere non rimpianga il mondo che gli consentiva queste cose?

Una sola cosa mi lascia pensieroso: De Benedetti ha definito Tronchetti Provera “avido”. Sarà che al saloon hanno chiamato il solito medico dei western, per curare i feriti, e quello, avanzando con passo incerto, il colletto della camicia caduto di lato, il cappello sulle ventitré e la bottiglia stappata in mano, diagnostica: sciono sbrrionzii.

Pubblicato da Libero

In merito all’articolo “De Benedetti dimentica la gara Omnitel e l’affare Mannesmann” (Libero del 31/10), un portavoce di Carlo De Benedetti ricorda che, contrariamente a quanto afferma l’autore Davide Giacalone, l’Ingegnere ha lasciato la presidenza di Olivetti nel 1996 (e non nel 1999). Dunque, la vendita della Omnitel a Mannesmann avvenne in tempi successivi alla sua uscita dall’azienda. Quella cessione consentì alla Olivetti, che in quel momento si trovava a essere l’azienda più liquida d’Italia, di organizzare un’Opa su Telecom Italia, operazione che De Benedetti criticò pubblicamente anche in un successivo libro dell’epoca. Per quanto riguarda la gara sulla concessione telefonica vinta da Omnitel, si ricorda che la società offri 750 miliardi di lire contro i 707 del gruppo concorrente composto da Fiat e Fininvest.

Ringrazio l’ingegner Carlo De Benedetti per l’attenzione. A certe fonti non si dovrebbe mai credere, ma la notizia che egli sia rimasto presidente fino al 1999 (sebbene onorario, ma uno come l’ingegnere conta più dell’onore) si trova nel sito del Gruppo Editoriale L’Espresso. Quindi in casa dell’uomo di cui qui si porta la voce. Sarà il caso di farla sentire anche presso le proprie società. Oppure di rinfrescare la memoria.

Non ho scritto che De Benedetti abbia partecipato o condiviso l’Opa su Telecom Italia, giacché mi è nota la sua contrarietà. Leggo sempre con attenzione le cose che scrive e dichiara, assai interessanti. Né ho scritto che la gara per il secondo gestore GSM sia stata gratis. Fatto è che l’offerta Omnitel fu frutto di un rilancio e l’assegnazione avvenne quando il capo della cordata concorrente era diretto alla presidenza del Consiglio. Vedo che non si aggiunge nulla circa l’incorporazione dell’unico concorrente temibile (Pronto Italia), né sul resto. E di tanto mi compiaccio.

Davide Giacalone

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