Economia

1959

1959

La deflazione è una brutta cosa, ma la confusione e l’illusione l’aggravano. Un comunicato dell’Istat ha informato che l’Italia del 2016 è in deflazione e che il solo precedente storico, nel dopoguerra, si trova nel 1959. Seguendo alla cieca queste due date non pochi titoli strillavano: siamo tornati al 1959. Magari!

A parte che la causa della deflazione 1959 era opposta a quella odierna, come ottimamente spiegato ieri da Francesco Forte, e a parte che, avendo in tasca una stessa moneta, la cosa seria da farsi è paragonarsi agli altri, dal che deriva: a. che altrove l’inflazione c’è, segno che la nostra deflazione ha cause italo italiane; b. che difatti cresciamo meno della metà della media europea, ma quando si tratta di recedere lo facciamo più del doppio, per cause, ancora una volta, tutte interne; c. che se dalla crescita asfittica e dall’asfissia deflattiva si sottraggono gli effetti espansivi delle (sagge) scelte della Banca centrale europea, ne deriva che siano ancora in recessione e il sostegno ai prezzi viene tutto dalla crescita delle tariffe amministrate, che sono tassazione sotto mentite spoglie. A parte ciò, se non proprio le serie storiche, almeno si conoscano i film che hanno fatto la storia.

Il 1959 è l’anno in cui Steno fece il film: “I tartassati”, con Aldo Fabrizi nei panni di un agente delle tasse e Totò in quelli di un commerciante di stoffe. Non si può sopravvivere, sosteneva Totò, se non evadendo il fisco, così scontrandosi con un Fabrizi integerrimo e impermeabile ai tentativi di corruzione. Solo che allora la pressione fiscale era imparagonabilmente minore di quella odierna: meno del 25, contro il 43.5% (ancora alla fine degli anni 70 le entrate fiscali italiane erano inferiori di 10 punti di pil rispetto a quelle tedesche o francesi). Proprio nel 1959 fu ritoccata al rialzo l’aliquota per i redditi più alti, fissandola al 23%. Oggi è 20 punti sopra, praticamente il doppio. Il 1959 era l’anno in cui il pil cresceva poco meno del 7%, i consumi erano cresciuti del 5% dal 1951 e sarebbero cresciuti dell’8% fino al 1963. A toglierci l’aria è il cappio fiscale, stretto dall’allucinazione secondo cui la spesa pubblica sarebbe la soluzione e non la causa dei nostri problemi.

Certo, venivamo da un passato di povertà. Un passato poi non così lontano, ma che si tende a dimenticare e cancellare. Eravamo gente con le maniche rimboccate, che non si autocommiserava, ma ce la metteva tutta per conquistare un futuro per sé e per i propri figli. Oggi siamo molto più ricchi, ma piagnucolosi, sempre alla ricerca di colpe altrui e rendite per sé, siamo rintronati dal credere che il benessere sia un diritto di nascita e non una continua conquista. Rintronati al punto da raccontare a noi stessi che quelle due date sono simili, senza guardare con commiserazione chi osa sostenerlo. Nel 1959 la Repubblica dei bonus a nulla sarebbe potuta stare solo in un film comico. Nel 2016 ne eravamo cittadini. Cosa che non fa ridere, ma proprio per niente.

 

 

Pubblicato da Il Giornale

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