Economia

2011 prossimo venturo

2011 prossimo venturo

I fatti del 2011 non sono storia, ma attualità. Perché quel che accadde si riverbera nel presente e perché può accadere nuovamente. Le “rivelazioni” odierne confermano quel che scrivemmo allora, ragione per cui mi limito a rammentarlo, venendo al presente.

1. Nell’autunno del 2011 il governo in carica, presieduto da Silvio Berlusconi, versava in pessima salute. Lo scrivevamo già da due anni. All’indebolimento avevano concorso sia il distacco di alcune componenti, aiutate da coperture istituzionali, sia le divisioni interne alla (oramai risicata) maggioranza e al governo stesso. A questo si aggiungano le notizie sui festini, che non avevano nulla di innocente. Né per come erano stato organizzati, né per come informazioni e foto saltavano fuori.

2. Allora come oggi l’Italia era forte di una lunga serie di avanzi primari, interrotta solo, e di poco, nel 2009, anno terribile. Allora come oggi era vulnerabile per il suo debito pubblico: intollerabilmente alto e tuttora crescente. Banca d’Italia ha appena reso noto che nello scorso mese di marzo è cresciuto di altri 12,8 miliardi, raggiungendo i 2.120.

3. Apertasi la crisi dei debiti sovrani l’area dell’euro aveva stabilito che la Grecia non potesse fallire, ma neanche dovesse essere salvata, federando parte del debito. Quella è la decisione da cui originano i fatti politici successivi, nonché la terribile debolezza della valuta comune. Tale decisione aveva un senso: non solo i paesi più ricchi non intendevano intervenire finanziariamente, ma pretendevano che fossero salvate le loro banche, fra le più esposte con titoli ad alto rendimento e altissimo rischio, fra i quali quelli greci. Questo è il punto decisivo.

4. Le nostre banche erano molto meno esposte di quelle tedesche e francesi, per cui, quando si stabilì la necessità di un fondo per la loro salvezza il governo italiano chiese che ciascun Paese partecipasse non in ragione del proprio prodotto interno lordo, ma dell’esposizione al rischio. Per noi avrebbe significato pagare assai meno. Lì nasce lo scontro con l’asse.

5. A imporsi non fu, come si dice con una semplificazione eccessiva, Angela Merkel, ma un asse franco-tedesco animato dalle banche di quei paesi, capaci di dirigere i propri politici. Quei governi erano già dovuti intervenire per nazionalizzare alcune banche, oramai fallite, sicché cercarono di mettere in conto ad altri i loro errori. I greci erano troppo piccoli per pagare, gli spagnoli si misero al riparo della troika, il conto fu presentato a noi.

6. La forza di quella politica (antieuropeista per eccellenza, altro che i successivi movimenti scalmanati!) stava nel richiamo della lettera dei trattati. E noi eravamo entrati nell’euro sapendo di non rispondere ai parametri. Successivamente, ed è la nostra grande colpa, non sistemammo i conti e non facemmo le riforme.

7. Far pagare gli italiani, che non avevano colpe esterne, ma solo interne, significava aggredire la loro sovranità, piegarli con la forza. Fecero leva sulla debolezza del governo Berlusconi e sulla sponda offerta da altri livelli istituzionali. Prima di tutto da Giorgio Napolitano. Qui, a seconda dei gusti, si può dire che “fu salvata l’Italia”, oramai costretta a tassi d’interesse pazzeschi, o che ci si prestò alla manovra. La sostanza non cambia: come annunciato in sede internazionale, il governo fu sostituito da un esecutivo tecnico. Che pagò.

8. Il pagamento, del resto, era già stato accettato con la sottoscrizione della lettera ricevuta dalla Banca centrale europea. E, attenzione, fu la stessa Bce, successivamente, a salvare l’euro, fornendo alle banche italiane e spagnole i soldi per comprare i titoli del debito pubblico, facendone scendere i tassi, ma fornendoli anche alle banche tedesche e francesi, salvandole dalla bancarotta. Con un ulteriore svantaggio: i soldi giunti qui sono finiti al servizio del debito, quelli andati altrove hanno contribuito a finanziare il mercato.

9. Oggi siamo ancora in quella condizione: a. abbiamo pagato, ma non abbiamo riformato (se non le pensioni, completando un lavoro avviato dalla destra e ripetutamente ostacolato dalla sinistra); b. abbiamo usato i soldi Bce, ma non abbiamo ridotto il debito; c. abbiamo accettato i vincoli, ma non abbiamo ridotto la spesa pubblica; d. continuiamo ad avere avanzi primari record, ma continuiamo a buttarli in interessi sul debito. Appena solo i mercati cambiassero umore, appena la liquidità (abbondantissima) dovesse accennare a diminuire, saremmo di nuovo dove eravamo nel 2011.

10. Il Paese più in pericolo, in Ue, è la Francia, i cui conti sono in disordine e la cui forza diminuisce. La Germania offrì protezione al presidente amico (Sarkozy) in cambio di dominanza politica. Quell’asse ha messo a rischio l’Ue e lo ha fatto perché dominato dalle loro banche, interessate solo ai propri conti. Tale condizione non è venuta meno.

E’ chiaro quel che succede? Noi allora raccontavamo questi fatti parlando di “guerra”. Non esageravamo, tanto che dagli Usa ci fanno sapere quel che già sapevamo: taluni si mossero non solo e non tanto contro un governo italiano, quanto contro gli interessi dell’Italia. Dobbiamo interiorizzarlo: perché non capiti nuovamente e perché dobbiamo essere risarciti. L’ostacolo più grande, a che l’Italia torni ad avere il peso che le spetta e a difendere i propri interessi, è dato da una classe dirigente minuscola, pronta a cogliere i miserabili vantaggi interni e incapace di vedere le conseguenze degli svantaggi esterni. Nonché incapace di fare quel che, da anni, è doveroso: abbattere il debito e tagliare la spesa, facendo scendere la pressione fiscale.

Pubblicato da Libero

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