La spesa pubblica cresce ed i poveri non diminuiscono. Chi crede che la prima sia il migliore strumento per ridistribuire e soccorrere i bisognosi, faccia i conti con la realtà. Sette milioni e mezzo di persone, due milioni e seicentomila famiglie, vivono in povertà (relativa agli altri italiani, giacché non ci sono i morti di
fame di un tempo). La propaganda sinistra sostenne che era colpa del governo di centro destra, durante il quale si sventolò l’allarme (spropositato) per la “quarta settimana” ed i bambini privi di latte. Non ci sono cambiamenti, e non è il caso d’abbassarsi ad attribuirne la colpa all’attuale governo. La colpa è della struttura della spesa pubblica.
Da noi lo Stato sociale assorbe una percentuale di ricchezza nazionale superiore a quella d’altri Paesi europei, ma più del 61 per cento se ne va con le pensioni. Se aggiungiamo la spesa previdenziale e per malattie (che non è quella sanitaria) si arriva oltre il 93. Alle famiglie bisognose va il 4,4, la metà della media europea. Ai disoccupati va il 2, meno di un terzo della media europea. Così, complici forze politiche e sindacali, con i loro gargarismi sui protocolli del welfare, la spesa cresce e crescono anche i poveri. La spesa pubblica s’indirizza a tutelare le rendite di posizione, è inghiottita dalle pensioni e si allarga abbassando l’età per accedervi, mentre gli esclusi rimangono tali. Conservare questo stato di cose, come sinistra e sindacati vogliono, è da reazionari. Allargare la spesa pubblica senza riformarne la struttura, come anche il centro destra fece, è da irresponsabili.
La spesa sociale è divenuta asociale, e da lungo tempo è improduttiva. Per rimediare ai guasti non serve aumentarla, tassando sempre di più, ma l’esatto contrario: si deve restituire ricchezza ai cittadini ed al mercato, favorendo la ripresa di un circuito virtuoso, capace di sottrarre i poveri alla loro condizione. Serve libertà, non carità. Intraprendenza non dipendenza. Rischio, non rendite. I numeri dicono che siamo su un binario morto, benché assai costoso. Per schiodarlo si devono far deragliare i tanti interessi corporativi ed egoisti, i tanti privilegi e le mille paure di un ceto che fu dirigente, ed è divenuto digerente. La democrazia s’ammala, se in non garantiti non trovano rappresentanza.