Le tesi sostenute dopo la nomina di due nuovi commissari all’Autorità antitrust dimostrano, in se stesse, l’insufficiente riflessione e maturazione sul delicato ed importante tema della regolazione nel mercato economico. Detto in altre parole, moralismo mal riposto ed incapacità politica si fanno degna compagnia.
Non mi occuperò di Guazzaloca e Pilati, giacché non credo che il problema stia nelle loro biografie, attitudini personali e studi compiuti, anzi, ribalto la questione: se anche tutti avessero plaudito alla scelte fatte da Pera e Casini, non di meno il problema esisterebbe, in un intreccio fra riforme incompiute ed americanate alla Nando Moriconi.
Allora, ci sono due modelli, che sono diversi ed inconciliabili: uno secondo il quale le Autorità sono agenzie governative, dipendenti dalla volontà politica del governo, la cui legittimità risiede nell’essere stato democraticamente eletto; e l’altro secondo il quale le Autorità sono indipendenti perché chiamate a vigilare sul rispetto delle regole. Nel primo caso le nomine sono di derivazione governativa, il che è del tutto logico perché si tratta di persone di cui il governante deve fidarsi. Può trattarsi di luminari, così come del pizzicagnolo dietro l’angolo, quel che conta è che la responsabilità di quel che accade ricade sul governo. Ovvio che, in un sistema di questo tipo, vige lo spoil system, pertanto quando un diverso governo vincerà le elezioni tutti i commissari precedentemente nominati se ne vanno a casa (luminari e pizzicagnoli), per essere sostituiti da gente che riscuote la fiducia del nuovo potere.
Nel secondo modello, invece, non si deve fare finta che la politica non esista o non conti, perché questa è un’ipocrisia, ma si tenta di descrivere un meccanismo di nomina che garantisca la non diretta dipendenza dai governanti. Si stabiliscono, ad esempio, le caratteristiche minimali dei candidati (tipo la nostra Corte Costituzionale), si scadenzano le nomine in modo che non siano tutte figlie della stessa stagione, e, nei sistemi presidenziali, si esalta il ruolo ispettivo e confermativo delle assemblee elettive. In ogni caso, la responsabilità di quel che accade ricade sull’Autorità (si prenda ad esempio l’americana Fed).
Da noi non è chiaro neanche di cosa si stia parlando. Le nostre Autorità si ritrovano nel primo o nel secondo modello? Tutti hanno diritto ad un’opinione, ma nessuno ha una risposta seria. Il mercato delle comunicazioni è regolato dalle leggi che fa il Parlamento, mentre le concessioni e le autorizzazioni sono rilasciate dal Ministero delle Comunicazioni, quello dell’Autorità è un potere timido, le sue decisioni sono ricorribili al tribunale amministrativo, le sue relazioni al Parlamento non le leggono neanche i componenti. Siamo nel primo o nel secondo schema? Il grado d’apertura di un mercato economico è fra le scelte più politiche che esistano, e la politica non può, in democrazia, che essere frutto del consenso popolare. Dunque: la nostra Autorità antitrust sta nel primo o nel secondo modello? Hanno assegnato una multa esemplare alla Telecom Italia, ma questa non la paga e ricorre al Tar; hanno fatto un approfondimento sul mercato dell’informazione, hanno sostenuto che le cose non vanno, ma non hanno poteri regolatori e non possono sostituirsi al legislatore. Cos’è, un club di mugugnanti?
Diamogli più soldi e più poteri, dicono alcuni. Gattini ciechi, cultori ritardati di un liberismo che resta a loro sconosciuto. Un Paese, un sistema economico, si governano difendendone gli interessi, e la determinazione di quali siano è questione politica. Se non si chiarisce la natura intrinseca delle Autorità e ci si limita a trasferire loro poteri si finisce con il creare una casta sacerdotale devota ad un dio liberista vorace di sacrifici umani ed incapace di alcun prodigio mercantile o produttivo. Contro quest’ipotesi non devono radunarsi gli statalisti, ma i ragionevoli.
Ci fu un’epoca, nella nostra politica, in cui tutto sembrava dover essere delegato alle Autorità. Ci vogliono le Autority, gridavano i kennediani che avevano marciato contro Kennedy. Ma le Autorities, scrivevamo allora, non risolveranno un fico secco se le si costituisce per fuggire al peso di una decisione politica di cui, semmai, dovrebbero essere il frutto. E, per quanto sia stucchevole dirlo, i fatti ci hanno dato ragione.
Un’ultima cosa, sulla fonte delle nomine. Si faccia in fetta a togliere quel potere ai presidenti delle Camere. Perché la politica smandrappata e smemorata ha dimenticato che vi fu un tempo in cui l’Italia era governata da coalizioni eterogenee, prima con il centro sinistra, poi con la solidarietà nazionale, e fu in quel quadro che nacquero le presidenze divise fra le due anime delle coalizioni, talché i due presidenti, messi assieme, rappresentavano una tollerabile garanzia per tutti. Ma ora, nell’Italia che si autoracconta come maggioritaria, quella condizione non c’è più, e non si capisce proprio perché la seconda e la terza carica dello Stato dovrebbero fare nomine che se son politiche non gli competono, e se son di garanzia non se le possono permettere.