Economia

Avvoltoi pronti

Avvoltoi pronti

La confusione italiana allontana gli investitori, che rifiutano di mettere soldi in un mercato non aperto alla competizione, non regolato da norme certe e giustizia funzionante, nonché perennemente permeato da politica e politici di livello imbarazzante. Ma attira gli avvoltoi. I quali, del resto, trasformano la carne morta in energia vitale. Siamo cicci e ricchi abbastanza da suscitare molti appetiti. E a chi crede che si possa funzionare con il pilota automatico, rinunciando alla politica, quindi alla responsabilità, ricordo quel che capitò a Telecom Italia, che in dieci anni passò da essere succosa e solida multinazionale italiana a decotto finanziario. Allora ci fu chi portò via agli italiani una vasta ricchezza, accumulata grazie a investimenti pubblici e tariffe non di mercato, molto alte. Una ricchezza, quindi, che apparteneva ai cittadini, non a una singola società. Oggi non si corre il rischio, perché Telecom Italia è sostanzialmente già fallita. Fatto è, però, che gli uccellacci volteggianti hanno più memoria delle carogne. Purtroppo.

Poche date, impressionanti: 1994, nasce Telecom, dalla fusione delle precedenti, e floridissime, società telefoniche; 1995, nasce Tim, scorporando e quotando la divisione mobile da Telecom; 1997, il governo (Prodi) vende la quasi totalità della partecipazione pubblica, ponendo come condizione che nessuno eserciti controllo; due anni dopo, 1999, il governo (D’Alema, ministro dell’economia Ciampi) non solo consente la violazione di quella condizione, ma plaude alla scalata dei capitani coraggiosi, e qui inizia la tragica e depredante fine; 2001, i capitani fanno cassa e vendono a Tronchetti Provera; 2005, Tim viene riacquistata con un’Opa.

I passaggi decisivi, nonché mortali, sono quelli del 1999 e del 2005. Nel primo caso si consente una scalata a debito, talché i nuovi proprietari, Colaninno & C., scaricheranno sulla società i debiti fatti per acquistarla, nel secondo si consente un’Opa a debito, sicché la già indebitata Telecom contrae altri debiti pur di riprendersi in pancia Tim, che è il vero generatore di cassa. In tutti e due i passaggi, oltre alla tragica incapacità degli imprenditori e alla colpevole cecità delle autorità di controllo, due sono le cose che hanno fatto stramazzare la società e impoverito l’Italia: a. le scalate erano foraggiate da finanza straniera, che puntava a portare subito a casa il guadagno, fregandosene altamente (e giustamente) delle telecomunicazioni italiane; b. gli scalatori erano a loro volta dei predatori, interessati a prendere valore dalla società acquistata, asfissiandola di debiti.

Ed eccoci ai nostri giorni, con un titolo che, in Borsa, è da tempo a livelli miseri, con un patrimonio reale inferiore al debito reale. I numeri ancora mascherano la realtà, ma è cosmesi. I nostri lettori conoscono questa storia, che raccontammo nel mentre i prezzolati e dementi cantori intonavano inni al mercato e alla finanza moderna, in realtà cantando la messa funebre al primo, che non funziona senza regole e onorabilità. Se ci torno è perché questa storia è destinata a ripetersi, quindi va rammentata. E anche perché Telecom è vicina al capolinea. In tempi diversi ci sarebbe un operatore internazionale pronto a raccattarla, pagandola due breccole, oggi non c’è, anche perché comprerebbe debiti. In vista dell’assemblea (17 aprile) le cronache parlano di “tensioni fra soci”, ma la realtà è che Telco (finanziaria di controllo, partecipata da banche italiane e dalla spagnola Telefonica) non è in grado di rimediare, semmai teme d’essere trascinata nell’abisso, mentre tutti parlano di finanza e nessuno del prodotto.

Ogni tanto si sente dire che servirebbero interventi pubblici, magari per il tramite della Cassa Depositi e Prestiti, destinati a finanziare la larga banda. Credo che anche i pentastelluti ne facciano una questione di cittadinanza digitale. Il fatto è che la larga banda non è un’opera caritatevole, bensì un modo per far soldi, anche facendo nascere nuovi bisogni. Per metterci l’obolo statale, variamente travestito, è prima necessario decretare il fallimento del mercato. E siccome la rete fissa si trova dentro Telecom, si dovrebbe prima prendere atto che è fallita. Passaggio assai doloroso, oltre che inglorioso. Per evitarlo è necessario dare una sterza potente, tagliando costi con la sega a motore e puntando a investimenti e nuovi servizi. Anche questo è doloroso, ma meno inglorioso.

In ogni caso, questa è la storia esemplare di quel che succede quando un Paese perde capacità di governare la barca, smarrisce il senso della rotta e si fa trascinare dalle correnti del mercato: viene depredato e umiliato. Ricordare è necessario, sperando di non ripetere.

Pubblicato da Libero

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