Economia

Banca rotta

Banca rotta

Anche i banchieri, come gli altri, guardano l’Europa e, poi, si guardano fra loro. Lo hanno fatto all’assemblea dell’Abi, la loro associazione. Pur guidati da un europeista convinto, Antonio Patuelli, sentono il bisogno di dire: quella che c’è, non ci piace. Pensare che molti credono di averla in uggia proprio perché suppongono piaccia troppo ai banchieri. Eppure, proprio in campo bancario, i passi fatti sono positivi. Semmai si dovrebbe farli più in fretta.

Prendiamo il caso della nuova legge sui fallimenti bancari. E’ stato scritto: finisce la garanzia dello Stato e saranno i cittadini correntisti a pagare. Balle. La riforma non è una trovata del legislatore italiano, ma il derivato di una direttiva europea. Noi siamo gli ultimi a recepirla. E non abbiamo ancora finito, perché, come ieri ha ricordato il governatore della Banca d’Italia, Igrazio Visco, mancano ancora i decreti attuativi (ma quando s’imparerà a prepararli mentre è in approvazione il decreto legislativo?!). La novità, in vigore dal prossimo primo gennaio, è il bail-in, ovvero che in caso di fallimento ne rispondono i privati. Prima di tutto gli azionisti, poi gli obbligazionisti non garantiti, quindi anche i correntisti con depositi superiori a 100mila euro (sotto quella cifra non ci sono pericoli). Se tutto questo non basta, a coprire il buco, interviene un fondo di garanzia, proprio a tutela dei depositanti. Prima garantiva lo Stato? Certo, e significava che in caso di fallimento pagavano tutti i cittadini contribuenti, ora solo chi ha investito o avuto troppa fiducia. Forse non è chiaro, ma i soldi dello Stato non sono dei politicastri cattivoni, sono i nostri.

Il busillis della riforma, però, sta nella prima categoria di chiamati a pagare: gli azionisti. Che i privati rispondano del fallimento è cosa sana e giusta. Le azioni sono sempre investimenti che comportano un rischio. Se non volete correrlo, o (più saggiamente) diluirlo con la diversificazione, non compratele, prendete prodotti che le incorporano. Il fatto è che fra gli azionisti, in molti casi europei, c’è lo Stato. Da noi no. Noi facevamo uscire lo Stato dalle banche, mentre altri ce lo tenevano e lo facevano entrare. Il che cambia notevolmente la faccenda della garanzia costituita dagli azionisti. Se fallisce una banca di cui è azionista lo Stato francese o tedesco non è la stessa cosa di avere azionisti di altra natura. Anche se va ricordato che in Austria hanno lasciato fallire anche in presenza di azionariato pubblico.

Se lo Stato italiano mette un soldo nelle nostre banche, quello è un aiuto illecito. Se lo fanno i francesi, quello è il dovere dell’azionista. Non è proprio un caso che il governo tedesco abbia messo 248 miliardi nelle proprie banche, quello inglese 165, quello spagnolo 58, e il nostro ne ha prestati (prestati, non messi) 4. Sapendolo, quindi, delle due l’una: o si rientrava prima che il recinto fosse chiuso, oppure sarebbe stato saggio reclamare la nostra virtù e farla pesare. Ma dalle nostre parti si è particolarmente vocati alla geremiade e poco propensi a far valere i punti di forza.

Che deve fare il cittadino? Intanto capire che, dall’anno prossimo, non “deposita” più, ma “presta” i propri soldi alla banca. Siccome le banche fanno esami del sangue e delle urine, prima di prestarti un tallero, sarà il caso di guardarle almeno negli occhi. La Banca d’Italia aiuti, pubblicando indici sintetici di solidità patrimoniale. Molti banchieri non ne saranno felici, ma non sono loro i soggetti da tutelare. Questo innesca conseguenze nel taglio dei costi e negli accorpamenti, con un occhio alle fondazioni. Positive, se guidate da una visione degli interessi collettivi, che, nei passaggi precedenti, è mancata. A tal proposito, Patuelli ha ricordato che le banche italiane erano 4337 nel 1927; 2070 nel 1936; 1156 nel 1990; mentre oggi abbiamo 136 gruppi bancari, sui si sommano le banche di credito cooperativo. In Germania le banche sono, oggi, 1734, mentre in Francia 579. Non si pianga, la concentrazione è positiva e dovrebbe essere continentale. Sono gli altri a essere rimasti indietro. Il che va fatto pesare, visto che ci mazzolano quando abbiamo torto.

E siccome la solidità patrimoniale (il rapporto fra patrimonio e soldi dati in prestito, detta rozzamente) può essere nemica della disponibilità a erogare credito, il che nuoce a economia e consumi, faremmo bene a far notare che le nostre banche, al netto delle partecipazioni statali, sono più solide di quelle altrui, sicché non si vede perché il nostro sistema produttivo debba subire un danno e gli altri un vantaggio, dato solo dai soldi messi dallo Stato. A ben vedere, quindi, non solo le cose fatte vanno nella giusta direzione, ma siamo noi gli scolari modello, quelli che hanno fatto i compiti, quindi quelli interessati a che l’Unione bancaria  sia una cosa,  e non suoni casualmente la pausa della ricreazione.

Pubblicato da Libero

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