Economia

Bancasana

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Sedata (si spera) la rissa, la Commissione europea si dice consapevole che va trovata una soluzione per i crediti andati a male, il cui peso impedisce alle banche italiane di svolgere la loro funzione. E’ evidente che va evitato l’effetto cane che si morde la coda: la crisi genera debiti non pagati (anche perché la pubblica amministrazione continua a liquidarli con inammissibile ritardo e tale malcostume s’è allargato al settore privato), i crediti non riscossi bloccano le banche, la mancanza di nuovo credito accresce la crisi, così accrescendo i debiti non pagati. Un loop mefitico. In attesa di conoscere i dettagli tecnici della soluzione ideata, che sono decisivi, è bene chiarire che la condotta generale deve cambiare, altrimenti si tratterà solo di una parentesi, prima di riprecipitare in crisi.

Interessante la proposta di Carlo Alberto Carnevale Maffè e Franco Debenedetti: le banche compensino le perdite aumentando il loro capitale, nel caso (assai probabile) in cui il mercato non copra l’intera necessità si proceda a trasformare in azioni le obbligazioni subordinate e, ove non basti, anche delle senior. Gli obbligazionisti non sarebbero “fregati”, perché senza la solidità dell’istituto cui hanno prestato i soldi corrono il rischio di perderli, ma del tutto. Lo Stato, dicono, accompagni questa trasformazione, questo swap, del capitale rimborsabile a scadenza in capitale che dovrà attendere, velocizzando le procedure affinché possano farsi valere le garanzie dei crediti non rimborsati (fluidificando ipoteche e pignoramenti). Aggiungo: si può anche usare capitale pubblico, magari della oramai prezzemolesca Cassa depositi e prestiti, per favorire questa trasformazione, a patto, però, che siano fissati in anticipo i limiti temporali dell’operazione. Che si segua questa strada o quella della bad bank, o che si proceda utilizzandole entrambe, deve essere chiaro che la musica bancaria deve cambiare.

1. Il fatto che possano così essere neutralizzati gli effetti nefandi del credito andato a male non deve autorizzare a considerare perdonata ogni malsana gestione del credito. Chi ha commesso abusi deve essere punito, chi ha commesso reati deve essere condannato. La ragione per cui i vizi tornano è che una volta scoperti non se ne fa pagare il conto ai viziosi.

2. Anche in assenza di abusi e reati, resta il fatto che una banca che non fa profitti non paga premi a chi la amministra. Le remunerazioni e liquidazioni milionarie, in capo a chi lascia macerie, sono un’offesa ai clienti poi chiamati a pagare il prezzo della loro rimozione. Inoltre, nel caso d’intervento di capitali pubblici, la banca non distribuirà dividendi fino a quando quei soldi non saranno tornati nelle casse dello Stato.

3. La territorialità delle banche è una virtù solo in un mondo chiuso, capace di compensare le diseconomie insite nel finanziare ciò che, altrimenti, non sarebbe competitivo. In un mondo aperto si trasforma in vizio, costoso. La territorialità deve tradursi da proprietà locale in conoscenza e attenzione alle esigenze di ogni specifica area. Si può farlo anche in capo a multinazionali.

4. Da ciò consegue che le banche devono assumere dimensioni compatibili con quelle del mercato di riferimento, che è continentale. Non ci si fa concorrenza in una provincia, ma nell’insieme dell’Unione europea. Chi non lo capisce per tempo è destinato ad essere fagogitato, né, a quel punto, può prendersela con il predatore. Chi pecora si fa il lupo se lo mangia.

5. L’emittente di un titolo di credito non può venderlo ai propri clienti. Quei prodotti devono essere destinati a soggetti professionali, o giungere ai piccoli clienti per il tramite di operatori specializzati.

6. Non si salvano le banche per salvare il posto di chi ci lavora (come, sbagliando, si gloria il governo). Le si salva rendendole competitive. Se gli sportelli sono troppi, se ne chiude l’eccedenza. Se i dipendenti sono troppi, si punta allo snellimento.

La classe dirigente italiana, nel suo insieme, è giunta all’appuntamento con lo spazio bancario europeo impreparata, ignara e distratta. E’ una grave colpa. Cerchiamo di non raccontarci la favola che messi a posto i conti, gettandone il peso sulle spalle di altri, si possa riprendere l’andazzo di prima.

Pubblicato da Libero

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