Economia

Banche & capitale

Banche & capitale

Servono 200 miliardi di euro in più per portare le imprese italiane a una patrimonializzazione che consenta una leva finanziaria pari alla media europea e serve ricapitalizzare le banche italiane. Le parole del governatore della Banca d’Italia dovrebbero essere ben soppesate dal governo e dalla politica tutta. Non solo per quel che riguarda l’economia in generale o i singoli provvedimenti, ma in particolare per quel che ha detto delle banche. Non è un problema tecnico, ma una questione politica di prima grandezza.

Le nostre banche sono state meno esposte alla crisi, hanno bilanci più in ordine, subiscono una vigilanza più occhiuta di quella altrui. Ma, conferma Ignazio Visco, si sono indebolite per la crisi, sono cresciute le sofferenze e se la scorpacciata di titoli di Stato ha consentito alti e sicuri rendimenti, ha anche dirottato soldi che non sono andati al mercato. Il credito complessivo all’economia continua a eccedere la raccolta, ma continua anche a essere in calo.

Nel patrimonio delle banche non potrà essere contabilizzato, ai fini della vigilanza, l’aumento di capitale portato dalla rivalutazione della Banca d’Italia. L’orrido pasticcio ha generato gettito fiscale per lo Stato, ma non patrimonio per le banche. I banchieri pensarono di fare i furbi e ne escono doppiamente gabbati, dato che alla fine, e non poteva essere diversamente, prevale l’opinione a suo tempo espressa dalla Banca centrale europea. Resta il bisogno di patrimonio.

Alla vigilia della vigilanza europea, affidata alla Bce, il nostro è il solo sistema bancario di un grande Paese che ha cancellato la partecipazione diretta dello Stato nelle proprietà bancarie. Non per questo ha cancellato l’influenza della politica, come da più parti si può vedere, ma viene esercitata per il tramite delle Fondazioni bancarie, che non sono lo Stato. Da qui discende un problema non eludibile: mentre in altri paesi, come la Germania o la Francia, l’intervento dello Stato e l’iniezione di soldi pubblici sono altrettante operazioni fatte dagli “azionisti”, quindi consentite, da noi sarebbero aiuti pubblici illeciti, proprio perché si è reciso il legame fra i capitali pubblici e le partecipazioni nel capitale bancario. Una asimmetria che crea squilibrio. Ecco un tema sul quale è nostro interesse chiedere una correzione europea.

Gli azionisti delle nostre banche, siano essi le fondazioni, le finanziarie o i risparmiatori che hanno comprato le azioni (in tal senso si fecero anche delle campagne pubblicitarie), si sono svenati per sostenere capitalizzazioni che pur sono ancora insufficienti. E, appunto, dovranno continuare a farlo. E’ vero che i capitali investiti nel patrimonio delle banche dovrebbero servire a metterle in grado di fare il loro mestiere, quindi finanziare la produzione e i consumi, ma è anche vero che si tratta di soldi sottratti a investimenti immediatamente produttivi o alla soddisfazione dei bisogni delle famiglie. A questo si aggiunga che quei capitali sono oggi chiamati a rispondere direttamente dei problemi che la banca può avere, sicché investitori e risparmiatori non hanno più non dico le garanzie, ma neanche le difese di un tempo. Rischiano, e molto. Per giunta senza guadagnare, perché i pochi margini sopravvissuti sono stati divorati dal fisco, mentre il contenimento dei costi (che significa digitalizzazione, licenziamenti e chiusura di filiali) non basta a tenere i conti in positivo. Si può dire: è il mercato, bellezza? Sì, si può dirlo, e sarebbe anche un bene, se non fosse che la bellezza del mercato consiste nel lavorare con regole comuni e parità di condizioni, cosa che viene immediatamente meno se altrove si ragiona all’opposto e i soldi dei contribuenti possono essere utilizzati senza incorrere nelle infrazioni che verrebbero subito contestate all’Italia.

E non è finita, perché la Germania esplicitamente chiede che un pezzo rilevante del proprio sistema bancario (quello delle Landesbank) resti fuori dalle regole e dalla vigilanza Bce. Il che aggrava asimmetrie e squilibri. Mi rendo conto che non si tratta di un tema “popolare”, di quelli di cui si discute la mattina al bar. Ma le conseguenze sono popolarissime, o, meglio, impopolarissime. Il voto di domenica scorsa ha segnalato che se crescono gli antieuropeismi restano maggioranza i voti europeisti. Ci vuol niente a bruciarli, se l’Europa che c’è continua a essere una roba che non dovrebbe esserci. Ragione per cui la difesa dei nostri interessi coincide con il solo modo di far procedere il processo d’integrazione: correggerlo. Noi italiani abbiamo la vigilanza fra le più rigorose e lo Stato fuori dalle banche. Dobbiamo chiedere che questa sia la condizione di tutti, in nome del vantaggio generale. Altrimenti diventa uno svantaggio a nostro danno. Insopportabile.

Pubblicato da Libero

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