Economia

Banche, debiti e pensioni

Banche, debiti e pensioni

Quello che non si è ottenuto con le minacce, si prova ad averlo con le lusinghe e solleticando la convenienza. Il governo ha dispiegato, come s’è fatto anche in altri Paesi, una rete di protezione a favore delle banche, utile pure per tranquillizzare i risparmiatori che quasi sentivano l’ansia per i propri soldi. Già non rendono, tenerli in banca è un costo (e non è giusto), ma perderli è troppo. In cambio aveva chiesto alle banche di non far mancare i finanziamenti alle imprese, specie quelle medie e piccole. A presidio di questa richiesta pose un poco credibile ruolo dei prefetti, cui l’imprenditore asfissiato si sarebbe dovuto rivolgere. Salvo il fatto che i prefetti avrebbero potuto prendere atto di quel che la banca negava, magari si sarebbe stilata una lista dei “cattivi”, ma nulla più di questo. Come previsto, non ha funzionato. Giulio Tremonti reagì indurendo i toni verso i banchieri, inducendo fenomeni imitativi in altre autorità. Risultati, però, pochi e nessuno. Adesso si prova a prenderli per la gola.
Immaginate un tavolo con tre protagonisti, ciascuno dei quali deve mettere qualche cosa nel piatto. Le banche concedono la moratoria di un anno per i debiti. Le imprese che hanno leasing o mutui continueranno a dovere pagare gli interessi, ma i ratei della quota capitale slittano. Non è l’auspicata iniezione di liquidità, ma, almeno, non la si sottrae, in un momento di siccità. Il governo, in cambio, offre una maggiore deducibilità fiscale sulle perdite degli istituti bancari. Siccome, però, fidarsi potrebbe essere avventuroso, le deduzioni saranno proporzionali al riscadenzamento dei crediti. In altre parole: più le banche concederanno tempo ai propri clienti, e per maggiori somme, tanto più potranno giovarsi delle agevolazioni. Gli imprenditori, che chiedono di potere ripatrimonializzare le loro aziende, cioè di aumentarne il capitale disponibile per superare la crisi e far ripartire la produzione, saranno chiamati a mettersi la mano in tasca: per ogni euro proprio che verseranno le banche potranno triplicare la posta. Se tutto dovesse andare come le trattative, ancora in corso, sembrano propiziare, il risultato non sarà la soluzione di tutti i mali, ma un buon passo in avanti. Magari anche due.
Un dettaglio, da quel che trapela, racconta la fama che le nostre banche si sono fatte: nel rinegoziare le scadenze non potranno far pagare ai clienti ulteriori spese amministrative. Come a dire: ci avete già turlupinato quando è stata cancellata la commissione di scoperto, rinominandola nei modi più burocraticamente fantasiosi, adesso non ci riprovate, facendoci pagare quel che vi sarà utile per versare meno tasse. Il solo doverlo dire è già poco edificante.
Da parte sua il fisco prova a far circolare qualche goccia di liquidità, avviando le procedure semplificate per 900mila rimborsi ai cittadini che hanno non solo pagato le tasse, ma hanno (non volontariamente) ecceduto. L’importo complessivo, destinato ai singoli contribuenti e relativo alle dichiarazioni Irpef, è di 700 milioni. Non è molto, ma è già qualche cosa. Se si prendono tutte le tipologie di rimborso, anche a favore delle imprese, dall’inizio dell’anno siamo a quota 9 miliardi, che è una cifra considerevole.
Considerati i vincoli di bilancio, dovuti al mostruoso debito pubblico che incombe e cresce, tutti questi sono segnali che dovrebbero indurre ad un operoso impegno, perché per far quadrare i conti finali c’è un solo modo: far crescere la ricchezza nazionale, quindi la competitività delle nostre aziende e dei nostri lavoratori. Proprio per questo si resta quasi indispettiti quando s’assiste allo spettacolo offerto in tema di pensioni delle donne, nel pubblico impiego.
Sul tema siamo stati condannati dalla Corte di giustizia europea, rei di discriminazione ai danni dei maschi. Un paradosso, dato che in Italia sono troppo poche le donne che lavorano, quasi uno scherno, ma che serve a dimostrare come il moltiplicarsi delle garanzie non apre affatto il mercato del lavoro, piuttosto ne chiude gli accessi ai giovani ed alle donne. Siamo, insomma, obbligati a cambiare. A fronte di quest’obbligo il governo ha tergiversato, per poi adottare una lenta gradualità che, comunque, risolve il problema postoci dalla Corte. Che fa la Cgil? Protesta, è ovvio. Epifani dice che si dovrebbe affrontare la questione in modo organico e complessivo. Ha ragione, infatti si dovrebbe alzare l’età pensionabile per tutti, per rendere il sistema sostenibile e più equo nei confronti dei giovani. Se ne è accorto anche Franceschini. Si dovrebbe fare di più, pertanto, non protestare per il poco che si è costretti a cambiare, e solo perché obbligati da una sentenza europea.
La sabbia negli ingranaggi del sistema Italia è composta da questi miopi, e talora autolesionisti, egoismi di categoria, fondati sull’illusione che si possa prosperare a danno degli altri, che siano i clienti delle banche o i giovani lavoratori.

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