Economia

Bastone e carota fiscale

Bastone e carota fiscale

Passi per il bastone e la carota, ma il bastone si sente costantemente sulla schiena e la carota poco più in basso. Le buone norme fiscali sono stabili nel tempo, talché si possano mettere in sintonia le abitudini e le convenienze. Invece si cambia con un ritmo frenetico: pochi giorni addietro s’è alzato il limite all’uso del contante, portandolo a 3mila euro; ora si vuole che anche il caffè sia pagato con la moneta elettronica. E’ stato spiegato che non è il contante a portare l’evasione fiscale, cosa che avrebbe suggerito, come nella gran parte dei Paesi dell’Eurozona, l’inopportunità di qualsiasi tetto. Dopo un paio di settimane si esalta la moneta elettronica come antidoto all’evasione. Il ragionamento funzionerebbe se la carota avesse una destinazione meno fastidiosa. Se anziché minacciare punizioni si parlasse anche di qualche premio.

Incentivare le transazioni elettroniche è cosa buona e giusta, ma si dovrebbe cominciare da quelle gestite dallo Stato. Alle poste continuano a non accettare la mia carta di credito, che non ho preso da uno spacciatore in un vicolo buio, ma è una delle più diffuse nel mondo. Quando lo Stato (la Posta è statale) avrà corretto il proprio fare sarà più credibile nel proprio dire. Questo non è un dettaglio, ma il centro della questione: nessun governante deve permettersi di stabilire quale sistema di pagamento io debba utilizzare, a quale ditta debba rivolgermi, se vogliono avere più pagamenti con le carte devono accettare tutte quelle legittime e autorizzate. Altrimenti stanno lavorando per portare quattrini a questo o quel circuito, il che è inammissibile. Oltre che illecito.

Posto ciò, veniamo alla carota. Non può funzionare un sistema nel quale se uso la moneta elettronica contribuisco alla trasparenza fiscale, mentre se uso i bigliettoni magari mi conviene. A me e al negoziante. Dovrebbe essere vero l’inverso, se si vuole convincermi che è una cosa bella per me, e non solo per il fisco. Per rendere utilizzabile la moneta elettronica devo tenere i soldi sul conto corrente, liquidi. Vale a dire in una posizione che non solo non rende nulla, ma costa. Come costa la carta che mi danno. Il negoziante che la accetta, a sua volta, paga una commissione, diminuendo il suo guadagno. Ci sono attività direttamente legate allo Stato (ad esempio i tabaccai) in cui l’agio, ovvero il guadagno, riconosciuto al negoziante è inferiore o pari alla commissione che deve girare ai gestori del pagamento. Ovvio che non può funzionare. Siccome, però, la diffusione di questi sistemi è un vantaggio collettivo, sia di sicurezza che di tracciabilità, si gradirebbe una carota. Ad esempio tassando meno gli incassi realizzati con carte di credito e bancomat, rispetto a quelli basati sul contante. O accantonando l’iva, per poi restituirla in parte, o scontarla rispetto alle imposte da pagarsi sul reddito. O anche promuovendo un concorso a sorteggio, talché, ogni sei mesi, si estragga un fortunato drappello di contribuenti cui venga offerto il raro privilegio di andare a vedere, direttamente al ministero, come si costruiscono le politiche fiscali. Aumenterà il loro orgoglio e amore patrio, perché se l’Italia ha fin qui resistito a quella roba è segno che chi lavora e produce sarebbe in grado di vendere casse di brandy per il desco dell’emiro (naturalmente accettando solo pagamenti in contanti e in valuta pregiata).

In ogni caso, quando si prende un indirizzo sarebbe bene tenerlo fermo almeno quindici giorni, per non dare l’impressione di avere ciucciato via anche il brandy destinato ai criminali in sottana. Così come sarebbe saggio che qualcuno avvertisse il presidente del Consiglio che non è il caso di continuare a ripetere, ossessivamente, che le tasse sono diminuite, perché al momento, per l’anno che fra poco si conclude, sono aumentate. Il che aiuta a spiegare come mai mancano soldi agli investimenti e ai consumi. Non perché si schieri con i gufi. Resti pure a guidare gli usignoli. Ma non ci prenda tutti per allocchi.

Pubblicato da Libero

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