Economia

Bilioni

Bilioni
Nell’economia Ue occorre sì investire nelle transizioni, ma anche rendere unico il mercato dei capitali, dell’energia, della difesa e così via andando.

Passi per il campare alla giornata, ma senza un minimo di prospettiva si crepa in serata. Passi per l’aggiustare i conti pubblici solo per l’immediato, salvo poi sbracare al primo trattore che fa quello che qualche minorenne a piedi non deve fare (e sarebbe bene denunciare entrambi per manifestazione non autorizzata e resistenza a pubblico ufficiale), ma non si va lontano se l’aggiustamento serve a svoltare la mesata e si affrontano le scadenze elettorali continuando a reclamare o promettere – a seconda che si sia opposizione o maggioranza – una crescita della spesa pubblica che non si sa come finanziare. Passi per il disseminare le scadenze elettorali, sicché si sta in campagna elettorale permanente fino a giugno, ma non è serio pensare di nascondere che le regole sono cambiate e che la legge di bilancio dovrà essere presentata a settembre, sicché si chiederanno i voti senza dire a cosa si è votati, consumando così il tempo nel nulla e senza credibile alternativa elettorale.

È in uno scenario di questo tipo che colpisce il modo in cui quasi neanche s’è parlato del rapporto presentato da Mario Draghi ai ministri economici dell’Unione europea. Ciarlieri all’inverosimile sul niente, divengono cogitabondi e riservati sulla sostanza. Essendo escluso che la faccenda sia liquidabile attribuendo a Draghi l’idea di spendere 500 miliardi all’anno per finanziare le transizioni digitale e verde, oltre che il necessario riarmo. Perché il vero contenuto di quel ragionamento – che, in scala, riporta alla magra sorte del Pnrr – non è lo spendere, ma il chiamare alla compartecipazione e agli investimenti i capitali privati. Quella è la rivoluzione, non la cifra del mezzo bilione (mille miliardi) annuale, che vuol dire bilioni in pochi anni.

I soldi pubblici – che sono soldi del contribuente e, se presi in prestito (quindi a debito), sono soldi del contribuente e del risparmiatore – producono ricchezza quando sono investiti in infrastrutture che generano profitti in tempi lunghi e quando finanziano riforme che accorciano i tempi per tutti i servizi, dalla sanità alla giustizia. Per chiamare i capitali privati non serve a niente il discorsetto retorico sull’avvenire e sull’interesse nazionale (in questo caso europeo), serve offrire una seria strategia di crescita, quindi di guadagno. Se si continua a festeggiare la vendita di questo o quel titolo del debito pubblico non si fa altro che convogliare i risparmi sul binario morto della spesa corrente. Difatti la grande parte del risparmio italiano continua a essere investita (lecitamente) all’estero, producendo ricchezza fuori e riportando a casa solo gli incrementi di valore.

Per consentire all’area dell’Ue di recuperare competitività (e dentro quest’area l’Italia ne ha più bisogno di altri) occorre sì investire nelle transizioni, ma anche rendere unico il mercato dei capitali, dell’energia, della difesa e così via andando. Ovvero serve molta più integrazione, che deve avere come contrappeso maggiore penetrazione della sovranità popolare ai livelli alti delle istituzioni comuni. Se invece, come ancora accade, si indirizza una parte enorme della spesa pubblica esistente ad accudire arretratezze e rendite si ottiene come conseguenza che i capitali privati vanno altrove. Per capirci, la crescita statunitense è alimentata anche dal nostro risparmio. Che fa bene ad alimentarla, perché i soldi devono andare dove si riproducono, non dove si fa voto di castità e sterilità.

Ciò comporta anche la crescita delle aziende e delle filiere, che abbiano almeno dimensione continentale. Noi italiani abbiamo buttato i quattrini in un bonus 110% che ha favorito la crescita di aziendine rionali, alimentatrici di evasione e lavoro nero (30.680 lavoratori irregolari accertati già solo nel 2023), nonché in coma quando finisce il bonus. Soldi sprecati che hanno generato disfunzioni.

Ma non si è ritenuto neanche di parlarne. Così però la politica diventa un’opera dei pupi autogestiti, perché anche il puparo se n’è andato.

Davide Giacalone, La Ragione 28 febbraio 2024

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