Secondo Mauro Moretti, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato spa (l’ennesima scatola privatistica dentro la quale si trovano monopoli pubblici e si spendono denari pubblici), oramai è prossimo il fallimento. O arrivano altri denari dallo Stato, o si portano i libri in tribunale.
In un certo senso, e non sembri la mia una fissazione, anche questo è un frutto marcio del bipolarismo all’italiana: ogni volta che cambia maggioranza di governo si perde la continuità dell’amministrazione pubblica ed i carrozzoni si presentano a battere cassa affibbiando tutte le colpe ai cattivi che se ne sono appena andati. Ma prima di metterci dei soldi sarebbe bene sapere alcune cose.
Dicono gli odierni amministratori che la società si è svenata per gli investimenti nell’alta velocità. Ma quei binari sono considerati un buon affare in tutta Europa, mentre da noi sono un guaio. Inoltre gran parte dei lavori per l’alta velocità sono fermi, e la Val di Susa docet. Allora, secondo logica, dovrei dedurne che i costi sopportati non vengono remunerati per la semplice ragione che la rete ad alta velocità non esiste (il treno per Napoli viaggia splendidamente per molti chilometri, poi getta l’ancora e procede come un accelerato). Se è così, lo dicano, in modo che tutti possano regolarsi su quali sono i costi del localismo luddista.
Le cifre uscite dalla bocca di Moretti e da quella di Cipolletta (presidente) non sono eguali. Né ci si può regolare leggendo il progetto industriale, o il piano di sviluppo, od un qualche documento serio ed organico riguardante il futuro delle Ferrovie, perché non esiste. La litania degli amministratori è: dateci i sodi, altrimenti chiudiamo. Ma così i soldi si continua a buttarli in una fornaca accesa.
Il precedente amministratore, Giancarlo Cimoli, se ne è andato intascando un bonus di 6 milioni quale premio per i risultati raggiunti. Quali, se sono sull’orlo del fallimento? Erano dovuti, quei soldi, ed in questo caso quali cavolo di risultati sono stati conseguiti, o non lo erano? Perché se ragioniamo di una spa esiste una cosa che si chiama azione di responsabilità, e se ragioniamo di soldi pubblici c’è una roba chiamata Corte dei Conti. Catania, altro amministratore, se ne andò con una buonuscita di 7 milioni. Sembra che questi signori abbiano amministrato Microsoft, non un bidone sfondato. Lo stesso Moretti intasca 600 mila euro l’anno, troppi se servono a prendere atto di ciò che un qualsiasi revisore dei conti avrebbe dovuto scoprire. Ben spesi se servono a remunerare la competenza di chi sa vedere la via d’uscita. Ma se la grande trovata manageriale consiste nel chiedere i quattrini allo Stato, allora aridatece li sordi.