Economia

Capitale & Lavoro

Capitale & Lavoro

Finita la stagione delle promesse elettorali si apre quella dei lenti passaggi istituzionali. Con ogni probabilità farà prima il conclave a eleggere un nuovo papa che l’Italia ad avere un nuovo governo. Ora che le urne sono state svuotate si devono fare i conti con il sistema produttivo, che si sta svuotando. Ora che non serve più propagandare la cancellazione dell’Imu sulla prima casa e la restituzione di quella già pagata, possiamo permetterci di dire una cosa banale: è stata trattata come una tesi demagogica ed eccessiva, in realtà è assai meno di quel che serve. Chi non ci crede rifletta sui dati che seguono.

Unimpresa, associazione di piccole e medie imprese, non divise fra terziario, manifatturiero o agricolo e comprendente anche società cooperative (81.900 iscritti, 60 sedi territoriali), ha svolto una ricerca presso i propri associati e ne ha ricavato che il 63% delle aziende si sono indebitate per pagare le tasse. Fra queste l’Imu, che ha sottratto alle aziende 6,3 miliardi, di cui circa 4 presi in prestito. Un dato impressionante, che resterebbe tale anche se fosse pari alla metà. Le conseguenze sono drammatiche, perché le imprese che s’indebitano per onorare il fisco o rinunciano a investire in innovazione e sviluppo, quindi a scommettere sul futuro, oppure sono costrette a ulteriore indebitamente che però, a quel punto, diminuendo gli attivi patrimoniali e l’affidabilità, sarà concesso (ammesso che venga concesso) a tassi più alti. Il fisco, insomma, è divenuto arma di distruzione di cassa. Preludio alla distruzione del sistema produttivo.

Altro che Imu sulla prima casa! Qui si devono cancellare anche le patrimoniali sull’attività produttiva, perché fin quando si fa coesistere la crisi dei mercati con il prelievo sul patrimonio immobiliare (Imu) e sul patrimonio del lavoro (Irap) non solo si spingono le aziende al fallimento, ma si suggerisce all’imprenditore d’essere saggio e chiudere i battenti prima di arrivare alla canna del gas. E’ vero che in questo modo aumenta la disoccupazione e precipita ancor di più il pil, ma se a questi problemi non pone attenzione lo Stato perché mai dovrebbe sentirsene responsabile l’impresa, che in un sistema sano punta al profitto, mica a finanziare la spesa pubblica dissennata.

Lo Stato, del resto, non si limita a osservare lo scempio, ma vi partecipa con sadico entusiasmo: se un’azienda vanta crediti nei confronti della mano pubblica, in una qualsiasi delle sue infinite articolazioni, se ha fatture inevase, sulle quali già pagò l’iva (quella per cassa è arrivata dopo), e, per disgrazia, non dovesse avere liquidi per pagare l’Inps, o l’Imu, o l’Irap, o la tassa sulla spazzatura, o una qualsiasi di queste sottrazioni di ricchezza, automaticamente le viene contestata evasione e, da quel momento, lo Stato cessa di pagare i propri debiti. E siccome sei evasore proprio perché lo Stato non ti paga, quindi non hai i soldi per pagarlo a tua volta, è evidente che tale meccanismo serve a mettere i genitali nel frullatore e azionarlo con voluttà.

Un sistema fiscale che tassa le imprese a prescindere dal profitto, togliendo risorse agli investimenti, ha deciso di suicidarsi. La forza del nostro sistema produttivo, che ancora ci tiene fra le grandi potenze economiche, non illuda circa la possibilità di continuare con questo andazzo. Molti si convinsero che il conflitto fosse tra capitale e lavoro, sbagliando. S’avvedano, che il conflitto è fra produzione e tassazione. Capitale (sano) e lavoro (vero) sono alleati.

Pubblicato da Libero

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