Economia

Casa, il piano spianato

Casa, il piano spianato

Il tira e molla del piano casa sta diventando imbarazzante. Lasciamo perdere quelli come me, che sono fessi perché commentano quel che ancora non c’è e poi devono prendere atto che non ci sarà mai, ma se l’idea intendeva favorire un forte impulso anticiclico, portando le famiglie italiane a mettere mano al portafoglio per far crescere il valore e la comodità della propria casa, una volta che la si mette sul binario della concertazione con le regioni e della legislazione ordinaria, è come dire: abbiamo scherzato.
Qui vedemmo subito che non sarebbe bastato sveltire le pratiche burocratiche, perché sarebbe sorta la conflittualità condominiale, a sua volta infilata nel vicolo cieco della giustizia in letargo. Il rimedio, però, non può essere nel parlare solo di ville, purché isolate e senza vicini, giacché in quelle facevano già quel che gli pareva. Perché credete che sia fiorente il mercato dei parcheggi e dei box attrezzi prefabbricati? Perché così si mascherano nuovi volumi. E, del resto, a Palazzo Chigi non lo sapevano che, nel 2001, la sinistra varò la riforma costituzionale del titolo quinto? Con quella robaccia si è praticamente ucciso l’interesse nazionale, non più presente neanche in settori come l’energia, che ne dovrebbero avere uno continentale. Non è una novità, però.
Il nocciolo del provvedimento non stava nel consentire lo spostamento del bagno o la trasformazione del balcone in veranda, bensì nel chiamare capitali gelosamente protetti ad oliare le ruote del mercato, in un momento in cui chi può rimanda investimenti ed acquisti. Se non solo si procede alla velocità dei bradipi, ma per giunta a zig zag, quando non all’indietro, di tutto questo resterà solo l’accusa di volere cementificare coste e parchi, che sarebbe emersa nella sua assurdità solo a patto che il resto si fosse fatto, mentre, nel vuoto, ogni sparata è lecita.
Infine, quella sciagurata riforma costituzionale portava il segno propagandistico del federalismo. Il centro destra rimediò, ma poi lasciò il lavoro al destino referendario. Così si è ridotto in macerie lo Stato nazionale, senza far sorgere autonomia e responsabilità locali. In tempi di crisi, quando s’invocano misure internazionali, noi contrattiamo con le regioni, le province ed i comuni. Il moto immobile dell’inutilità.

Condividi questo articolo