Economia

Cavie over 50

Cavie over 50

La disoccupazione giovanile è un problema serio, ma quello di chi perde il lavoro in età adulta è drammatico. La scarsa partecipazione al lavoro di giovani e donne impoverisce l’Italia, ma chi perde il lavoro a cinquanta anni e oltre piomba nella disperazione, perde dignità e trascina i familiari nella malasorte. La non occupazione per giovani e donne è una (pessima) condizione che ci portiamo dietro da decenni, mentre il venir meno del posto di lavoro, quindi del reddito familiare, è un fenomeno cresciuto negli ultimi anni. Con ammortizzatori sociali sempre più scarichi.

Per queste ragioni ho letto avidamente le dichiarazioni rese dal ministro del lavoro, Giuliano Poletti, relative ai disoccupati over 50. Ha annunciato l’ipotesi di un contratto apposito, per favorire il rientro. Che tipo di contratto? Questa la sua risposta: “il progetto va ancora studiato”. Lo stesso giorno ha parlato a proposito dei contratti a termine. In che termini? Ecco la risposta: “stiamo studiando”. Considerato che il giornalista ha capito il contrario di quel che il ministro sostiene di avere detto, avendo riportato il primo che quei contratti vanno resi più onerosi e correggendo il secondo che devono esserlo meno, lo studio sembra opportuno. Fare il ministro, però, non significa mica avere vinto una borsa di studio. Nel mondo razionale si suppone che si vada a governare per (cercare di) applicare idee e innovazioni già messe a punto. Non per studiarle.

Poletti ha il merito di rivolgersi ruvidamente ai sindacati, ricordando loro che un disoccupato sta sempre peggio di un lavoratore poco garantito. A cercare troppe garanzie si ottiene quella di non trovare lavoro. Solo un fu comunista, capo delle mitiche Coop, può permettersi la doppia operazione: trattare i sindacalisti come incapaci di rappresentare i lavoratori e ricordare che i conti delle imprese devono portare guadagni. Lo avesse fatto un altro sarebbe stato lapidato. Occorre, però, stare attenti, perché il rischio è quello di avere a che fare non con chi ha capito che è ora di liberare il mercato da molti vincoli, ma con chi ha visto l’opportunità di disporre con maggior convenienza del fattore lavoro. Non una mentalità liberale, quindi, ma padronale. Niente affatto la stessa cosa.

Proviamo a ragionare. Guardando i giovani disoccupati si è finalmente capito che le garanzie nuocciono, perché sono costi che finanziano le rendite di altri e appesantiscono le imprese, impoverendo i lavoratori. Più rendi onerose le assunzioni, più tieni i giovani fuori dal lavoro, meno quelli impareranno e avranno occasioni. Da qui l’opposto del tanto chiacchierato contratto a garanzie crescenti, ovvero il contratto di 36 mesi senza garanzie. Che, per persone che hanno ancora sia la vita che la vita lavorativa davanti a sé, è un po’ cadere da un eccesso all’altro. La congiuntura negativa fa preferire l’eccesso ora abbracciato dal governo, ma guai a dimenticare che resta un eccesso.

A ben vedere, però, è proprio nella fascia d’età opposta, ovvero fra i lavoratori maturi, più prossimi alla pensione, che la deregolamentazione, lo smontaggio dei vincoli e delle garanzie, può dare i risultati migliori. Un giovane può ancora scegliere se lavorare o farsi mantenere, un padre di famiglia (o madre, è la stessa cosa, dipende da quanti redditi ci sono) non può. Un giovane può valutare se gli convenga accettare un determinato lavoro o puntare a una formazione più elevata, un lavoratore maturo non può. Un giovane può, seppure tristemente, non uscire dalla disoccupazione, un adulto non può entrarci. Un giovane disoccupato rappresenta un mancato guadagno, per sé e per la collettività, un disoccupato adulto rappresenta un costo, vuoi per quel che resta degli ammortizzatori, vuoi per il disastro sociale che innesca. Il contratto per i disoccupati over 50, pertanto, non va studiato in laboratorio, ma velocemente approntato sulla base dell’evidenza: lavorare è sempre meglio di restare inattivi. Per quanto tempo? Altro che 36 mesi! Se offri di poterci arrivare fino alla pensione lo preferiranno all’attenderla dandosi all’accattonaggio o al lavoro in nero (che prolifera più sulla rigidità delle regole che sulla misera).

Decontribuire quei contratti, in quella fascia d’età, comporta meno problemi di copertura che coprire i costi del mantenimento improduttivo, del dilagare della paura e, da quella, della rivolta. Il contrappeso deve consistere nel mettere nelle tasche del lavoratore i tre quarti del suo costo per l’azienda, al contrario della metà che prende oggi. Non è una soluzione pensare a prepensionamenti, neanche nella pubblica amministrazione, che dopo avere alzato l’età pensionabile sembrano dimostrazioni di follia. Non è una soluzione puntare dritto al salario minimo garantito, perché quello è un anestetico costosissimo, cui i tedeschi arriveranno (ora non c’è) dopo anni di crescita maggiore della nostra.

Studiare è una bella cosa. Ma va fatto prima, non durante gli esami. I disoccupati non sono cavie.

Pubblicato da Libero

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