Tagliare la spesa sanitaria si può, giovando alla salute fisica e fiscale degli italiani. Il punto è che si dovrebbe tagliare per avere una sanità migliore, non solo per far tornare i conti della spesa. Tagliare concentrando i grandi ospedali e le specializzazioni, aumentando i presidi di soccorso, ad esempio, è virtuoso. Tagliare dicendo che si devono fare meno analisi ed esami, invece, significa ignorare la condizione in cui molti medici operano, visto che l’esagerare in quegli esami serve più a difendere loro da possibili contestazioni che non la salute del paziente.
Tagliare premiando chi ha bene amministrato è virtuoso. Tagliare non distinguendo i soldi ben spesi da quelli buttati è vizioso. Conoscere i flussi del turismo sanitario, ovvero del trasferimento di pazienti da una regione all’altra, serve a sapere di chi i cittadini si fidano e di chi no. Ci possono ben essere ragioni legate alla particolare specializzazione di questo o quel presidio sanitario, ma in molti casi è solo la voglia di scappare da quelli che si hanno vicino a casa. In questo caso, appunto, si deve tagliare punendo chi mette in fuga, non chi accoglie. Ed è bene che sia fatto, perché purtroppo le nomine sanitarie sono politiche ed è quindi saggio e igienico che chi nomina amici incapaci sia esposto alla protesta di quanti lo hanno eletto.
La sinergia fra sanità pubblica e privata è positiva, quando serve a evitare che il pubblico sopporti troppi costi fissi, utilizzando le capacità dell’iniziativa imprenditoriale e remunerandola a prestazione. Non lo è quando viene utilizzata per spostare mandrie di pazienti verso gabinetti d’analisi e reparti diagnostici al solo scopo di favorirne la rendita di posizione, così doppiamente impoverendo gli ospedali pubblici. La regola, quindi, dovrebbe essere il conoscere e distinguere caso per caso, mentre se si procede per grandi aggregati si pratica una chirurgia contabile, che nulla ha a che vedere con la salute dei pazienti.
Mi colpisce la tesi del ministro della sanità: si tratta di risparmi, non di tagli. Giusto, ma i risparmi si praticano modificando il sistema, mentre lasciandolo immutato si operano i tagli. Siccome non mi pare che il sistema cambi apprezzabilmente, ne deduco che la minore spesa programmata è basata sui tagli. E, ripeto, non solo non me ne scandalizzo, ma plaudo. A patto che siano fatti a ragion veduta e colti come occasione per punire le cattive pratiche.
La sanità italiana funziona bene. La qualità dell’assistenza di cui disponiamo è migliore di quella di tanti altri paesi sviluppati. Purtroppo la folle regionalizzazione dell’amministrazione sanitaria e la politicizzazione delle nomine ha indotto l’esplosione del debito. Anzi: in parte fu varata per nasconderlo, il debito, salvo il fatto che, una volta messolo lontano da occhi indiscreti, s’è ingigantito patologicamente. Ma un dato è illuminante: c’è più debito e più spesa dove la sanità funziona peggio. Quindi, delle due l’una: o si fanno i conti con le regioni, togliendo soldi a chi li amministra male; oppure si cancella la regionalizzazione e si torna a una sana amministrazione nazionale, magari affidandola al personale dirigenziale che ha fin qui ottenuto i migliori risultati.
Preferisco la seconda strada, anche perché dove le pratiche sono cattive c’è il rischio che si favoriscano i peggiori a danno dei capaci e dei coscienziosi. Le cronache abbondano di medici a cavallo della politica. Passi, se si tratta di passione privata, ma il più delle volte è cupidigia e ricerca di connivenze per avere soldi pubblici e discrezionalità nell’amministrarli. Non volendo morire né d’incapacità né di tasse, preferisco una sana selezione meritocratica. Sia delle cure che delle spese.
Pubblicato da Libero