Economia

Class action

Class action

La class action di cui si parla, al solito senza grande attenzione alle cose concrete e complicate, ma seguendo gli spifferi delle lamentazioni varie, ha un terribile difetto: si pretende di chiamarla class action. Sia nella versione relativa alle imprese private, sia in quella che regola le denunce concernenti i servizi pubblici, l’introduzione di nuove norme per le azioni collettive è un passo in avanti, dotandosi i cittadini di nuovi e più potenti strumenti. Ma non è una class action, per la semplice ragione che il nostro diritto funziona in modo assai diverso da quello statunitense. Per chi storcesse il naso e volesse rivendicare l’aspirazione di vivere all’americana, suggerisco l’intramontabile testo di Renato Carosone: “Tu vo’ fa l’americano”.

Un errore simile già lo si commise con le autorities quegli organismi autonomi ed indipendenti incaricati, sull’esempio di quanto era già avvenuto in Inghilterra e negli Stati Uniti, di regolare, con immediatezza, settori specifici del mercato. Salvo che, da noi, contro le loro decisioni si può ricorrere al tribunale amministrativo regionale, e ti saluto autorities. Ragionamento analogo vale per la class action. Nessuna delle cose già previste dalle leggi è stata abrogata, quindi nessun diritto preesistente è stato cancellato. Vedo che taluni, ad esempio Sergio Rizzo, credono di avere capito tutto ripetendo mille volte che l’assenza di risarcimento toglie qualsiasi valore alle azioni contro la Pubblica Amministrazione, ma è un errore, dovuto ad eccesso di superficialità: il risarcimento è già previsto dalla legge, e rimane lì, senza che nessuno si sia sognato di toccarlo, quindi c’è. Non c’è, invece, solo in quanto conseguenza di un’azione collettiva, ma ciò anche perché l’idea di un risarcimento eguale per tutti, a seguito di un determinato disservizio, non è coerente con il resto del nostro ordinamento.

Anche la causa collettiva non è mica una novità! Potevo promuoverla già prima, e, in effetti, diverse ce ne sono state. Le nuove norme si limitano ad indirizzare le cause “numerose”, nel senso di quelle promosse da molti cittadini che lamentano un eguale danno, verso tribunali centralizzati (regionali), cercando (non sempre riuscendoci) di definire i confini fra quelle collettive e quelle singolari. E’ un passo avanti, anche perché sono state cancellate brutture presenti nel testo originario, ma non è una class action.

Quest’ultima, nel diritto statunitense, si basa proprio sulla definizione della “classe”, ovvero delle caratteristiche che il cittadino deve avere per potersi aggregare, subito o successivamente, ad un’azione legale già promossa. L’esito di quella causa, poi, farà stato, e quanti non sono entrati prima potranno aggiungersi dopo. Roba che, da noi, non c’è, e non ci sarà. Per le aziende la class action americana è assai temibile, perché se un torto è stato arrecato ai clienti c’è il rischio che, prima o dopo, vengano tutti a farselo risarcire. Ma per i cittadini accendere una causa di questo tipo non è semplice, ed è comunque costoso. Ciò che non si può fare è prendere un pezzo di un sistema e trapiantarlo in corpi diversi, senza mettere nel conto un sicuro rigetto. Da noi accendere una causa civile è facilissimo e poco costoso, inoltre i giudici non contestano quasi mai la “lite temeraria”, giustamente ricordata, invece, dalla nuova legge. Insomma, denunciare qualcun altro pretendendo cose irragionevoli e senza fondamento non è, da noi, rischioso. Ed è un male, perché così cresce il numero delle cause, diminuendo l’efficienza della giustizia.

Efficienza dalla quale non si può prescindere, perché molti sembrano comportarsi come quel tale che chiede il gelato al limone, gli rispondono che non c’è gelato, e quello, allora, lo richiede alla fragola. Da noi la giustizia è in bancarotta, quella civile si chiama così solo di nome. Le cause collettive, introdotte dalla nuova legge, non sono class action, ma sono pur sempre cause, che chiedono l’intervento di quella macchina giudiziaria abbondantemente sfasciata. Ma non basta, perché la lussuria divagatrice fa sì che si discetti di quanto si sarebbe potuto fare in più, laddove sarebbe grasso colante far funzionare quel che si ha.

Ah, se facessimo i conti di quanto ci costa e quanto ci danneggia il più gigantesco disservizio di cui siamo vittime, quello della malagiustizia! Da Strasburgo, ogni anno, ci mandano conti salati, ma la cosa grottesca è che a pagare i danni sono i danneggiati, e non i danneggianti.

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