Economia

Clausola autogol

Clausola autogol

Usare la clausola immigrati è roba da profughi, in fuga dalla realtà. Impegnati a discutere come se il mondo si riducesse alle nostre beghe meno brillanti, si perde di vista il significato delle cose che si dicono. E che si fanno, purtroppo. Una ulteriore “elasticità”, nella misura dello 0.2%, è presentata come una conquista. Lo è come una cassata siciliana per un diabetico. Come un boccione di rappa per un cirrotico. Non solo: festeggiare quella clausola e approfittarne è un autogol.

Tre autogol. Primo: non abbiamo avuto più spese e non le avremo, sul fronte immigrazione, semmai dovremmo riuscire ad averne di meno, visto che si decanta come conquista l’intestazione europea di alcune operazioni, da ciò deriva che la Commissione europea sa da subito che i nostri conti 2016 incorporano una bugia, e non si creda che non lo faranno pesare. Secondo: chiedendo lo sforamento accettiamo il principio secondo cui affrontare il problema immigrazione comporta un aumento della spesa pubblica. Sorvolando sul masochismo dell’impostazione e facendo finta di non vedere che altri puntano a farne carburante per il motore produttivo, in ogni caso significa abbandonare la via maestra, ovvero chiedere che l’amministrazione del problema sia direttamente intestata all’Unione, sia nella gestione che nella spesa. Terzo: dopo avere detto che abbiamo bisogno di fare più deficit per finanziare l’identificazione e l’accoglienza, non avremo più ragioni per dire che i compiti a noi assegnati non sono ragionevoli. Noi dovremmo ricevere i migranti, identificarli, dividere i profughi dai bisognosi, indirizzare i primi alla loro destinazione e respingere i secondi, rimpatriandoli. Non ci crede nessuno. Quei mestieri possiamo farli come Ue, non come Italia. Ma noi rinunciamo a sostenerlo, pur di avere lo 0.2% del prodotto interno lordo in più da spendere. Dopo il terzo autogol sospendono la partita. Per pietà.

Il tutto dopo avere chiuso un anno congratulandosi con sé stessi per essere cresciuti più delle previsioni iniziali, posto che cresciamo meno di quel che vale la politica espansiva della Bce, grazie ad esportazioni favorite dalla svalutazione della moneta unica. Mentre ci accingiamo a un 2016 in cui cresceremo ancora meno della media Ue, quindi vedendo crescere il nostro svantaggio. Le condizioni erano (e ancora sono, non per molto) ideali, ma noi riusciamo a non rimbalzare abbastanza, appesantiti dalla pinguedine della spesa pubblica improduttiva, che rimane grasso insalubre e non smaltito. Come rimediamo? Certo non facendo ulteriormente crescere la spesa a debito, quindi proponendo al ciccione informe di mettere su qualche altro chilo.

Il governo (e gran parte dei commentatori) fa finta di non sentire quel che ha detto la Bce: i risparmi (non i guadagni) indotti dal minore costo del debito pubblico (che si deve a loro) non devono essere presi come soldi, o tesoretti, che si possono spendere diversamente, ma come un modo per far scendere il debito pubblico. Quell’affermazione, oltre a essere giusta in sé, segnala che gli avversari del quantitative easing, quanti, a cominciare dai tedeschi, aspettano Mario Draghi al primo rinculo o fallimento, sono già pronti a mettergli sul conto le incoscienze del governo italiano. Sicché ai tedeschi si concedono due calci di rigore: a. possono chiederci di utilizzare lo 0.2% del nostro pil per assecondare la loro politica estera, sul fronte siriano, selezionando per loro quel che cercano; b. e mentre lo spendiamo possono indicarlo a Draghi come dimostrazione che avevano ragione loro e torto lui. E’ vero che a calcio li abbiamo ripetutamente battuti, ma con il rigore ci sanno fare e rimontare gli autogol sarà dura.

Se anziché utilizzare le insufficienze istituzionali europee per far finta d’essere furbi e allargare le proprie incapacità ci comportassimo da Paese irrinunciabile, nella costruzione dell’Unione, saremmo i primi a stoppare le elasticità negative e a reclamare maggiore presenza e spesa federale, laddove ci conviene. E sul fronte immigrazione ci conviene.

Pubblicato da Libero

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