A Taranto ci sono colpe dure come l’acciaio, a fronte di leggi mosce come il pongo. Chi crede di conoscerne i colpevoli deve affidarsi al pregiudizio, giacché la giustizia restituisce rappresentazioni surreali. Mentre il legislatore è in stato confusionale e il governante in paralisi celebrale. Nessuno creda di potere confinare la faccenda a Taranto, perché quel precedente è contagioso.
La procura di Taranto, apprendiamo, continuando l’inchiesta sui disastri ambientali, ha inviato avvisi di garanzia a coloro che sono stati e sono commissari dell’Ilva. I commissari, del resto, ci sono perché la stessa procura, nel luglio del 2012, arrestò i responsabili dello stabilimento e ne mise sotto sequestro gli strumenti produttivi. Allora l’Ilva era non solo profittevole, ma l’insediamento tarantino indicato dalla Commissione europea come un esempio da seguire. Poco importa, perché se il disastro ambientale c’è non sono certo la forza economica o i riconoscimenti di terzi a potere fermare gli accertamenti e i rimedi. Il problema, però, è che l’Ilva aveva avuto l’Aia (autorizzazione integrata ambientale, dove “integrata” significa relativa a tutti gli aspetti della produzione) appena un anno prima, senza che nessuno ne abbia contestato la violazione. Sta di fatto che il rinvio a giudizio è arrivato esattamente tre anni dopo, nel luglio del 2015. Aspettiamo il processo. La sentenza definitiva è prevedibile, se tutto va bene, a una decina di anni dagli arresti. Ma, nel frattempo, sappiamo che la procura sospetta i commissari abbiano a loro volta amministrato roba che crea disastri ambientali. Che è cambiato? La proprietà.
E’ impressionante: nel maggio del 2013 l’Ilva era ancora dei suoi proprietari e con il suo consiglio d’amministrazione, anche se il fondatore è ancora agli arresti (dove morirà, nell’aprile 2014), ma il 22 maggio la procura sequestra 8 miliardi e 100 milioni, sostenendo essere i fondi che l’Ilva avrebbe dovuto spendere per il risanamento ambientale, a quel punto il cda si dimette, non potendo più produrre, talché arriva il primo commissario. Peccato che quel sequestro, all’origine dell’insolvenza, sia annullato senza rinvio (schiaffone) dalla cassazione, nel gennaio 2014. In quegli otto mesi il governo aveva creato, per decreto legge, due figure del tutto nuove, nel nostro ordinamento: a. l’esproprio senza esproprio; b. il commissario irresponsabile.
L’Ilva era tolta ai legittimi proprietari (che non sono solo i Riva, ma anche gli Ameduni), dato che era insolvente, solo che la procedura è nuova, avviene per decreto legge, non è ricorribile e, come detto, la causa dell’insolvenza è un sequestro giudicato illegittimo dalla Cassazione. Il commissario (poi divenuti tre) è anch’egli figura innovativa: amministra beni non suoi, ma il testo del decreto lo solleva da ogni responsabilità, anche penale. Il cielo non voglia che strangoli la segretaria, altrimenti non si sa dove finisce l’irresponsabilità. Comunque hanno ricevuto avvisi di garanzia, il che lascia supporre in procura la pensino diversamente.
Sentite questa: una volta tolta l’Ilva ai proprietari il commissario ha provato a venderla, avviando trattative non solo condivise, ma direttamente compartecipate con il governo. Apprendiamo così, dalla voce del vice ministro, Claudio De Vincenti, che la vendita non è andata a buon fine perché gli indiani, potenziali acquirenti, chiedevano: 1. che le autorizzazioni ambientali durassero sedici anni e che quel che non era proibito fosse consentito; 2. di non essere in nulla responsabili per il passato. In pratica chiedevano di non essere trattati da italiani, visto che l’Aia cambiava ogni anno, erano finiti in galera quelli che neanche erano accusati d’averla violata, mentre lo stabilimento è lì dal 1965, era dello Stato, che lo vendette nel 1995.
Riassumendo: nessuno è in grado di dire se quella produzione di acciaio viola o meno una qualche norma ambientale; i cittadini cui era stato detto che il pericolo era cessato ora sanno che se c’era continua; i proprietari sono stati espropriati alla sovietica, senza neanche un atto valido di esproprio; la produzione procede nell’incertezza delle regole; da ultimo due operai sono morti in modo atroce, ma i commissari dicono che sono stati errori procedurali (fosse successo prima!). Ciascuno, a piacimento, può scegliere se crede che sia stato devastato di più l’ambiente, il diritto o il buon senso. Né le opzioni si escludono a vicenda. Un precedente, questo, che può ripetersi ovunque vi sia una produzione d’importanza “strategica”, che è il concetto dal governo inserito nel decreto, senza che sia noto cosa significhi e quali siano. Le gride (Manzoni) erano sussurri, a confronto.
Pubblicato da Libero