Economia

Confindustria & sindacati

Confindustria & sindacati

Montezemolo lascia Confindustria affermando che i lavoratori si sono sentiti più rappresentati da lui che dai sindacati. Confermo: gli interessi del lavoro sono poco rappresentati. Tanto i sindacati quanto Confindustria tifarono per Prodi, mostrando una comune carenza nel capire il Paese e la politica. Dei sindacati ho

scritto, ma neanche Confindustria gode di gran salute.
Gli italiani votarono un referendum per fermare il flusso di denaro che dalle buste paga affluiva direttamente alle casse sindacali. Quella ricchezza, però, non ha mai smesso di defluire, grazie ad un accordo fra sindacalisti ed imprenditori. Glielo dicano, ai lavoratori, quando se ne contendono la rappresentanza. Presentino loro una bella storia della cassa integrazione guadagni, dei soldi pubblici che hanno finanziato e finanziano non il sostegno alla disoccupazione, ma alle imprese amministrate male ed al sindacato connivente. E visto che tengono tanti corsi di formazione, sia Confindustria che i sindacati, mettendoli in conto a lavoratori ed aziende, ne allestiscano uno sull’ultimo contratto dei metalmeccanici, che è un monumento all’appiattimento ed uno schiaffo al merito ed all’impegno. Montezemolo lo ha firmato, nella doppia veste di Confindustria e Fiat.
Le sorti di un Paese non si giocano con qualche comizio della domenica, e poco importa se tenuto in una piazza periferica o in un’isola lussuosa. Non si deve chiedere ai sindacati, siano essi degli imprenditori o dei lavoratori, di schierarsi con questo o quel partito, ma ai primi si chiede di privilegiare il mercato rispetto agli affari, ed ai secondi di anteporre l’ingresso di nuovi lavoratori alla difesa dei privilegi. Poi, se vogliono far politica, s’accomodino pure. Portino idee e proposte, senza nascondersi dietro la classe di provenienza. Nel frattempo facciano il piacere di osservare che il mondo non si riassume nelle loro sedi, e che se la maggioranza dei lavoratori resta fuori dal sindacato le rappresentanze imprenditoriali parlano spesso la lingua della finanza, che non è quella dei capannoni dove si costruisce, pezzo dopo pezzo, la ricchezza nazionale.
L’Italia non ha bisogno di libere docenze in interessi generali, ma di protagonisti, imprenditoriali e sindacali, che rappresentino gli interessi dei produttori di reddito.

Condividi questo articolo