Economia

Correzioni

Correzioni

Le società bene amministrate non sono quelle con i conti perfetti e privi di errori, obiettivo poco realistico, ma quelle in cui imperfezioni e scostamenti vengono corretti tempestivamente. Più tempo si perde prima di intervenire e più la distanza fra la realtà e la scrittura contabile si allarga, con il risultato che i problemi poi diventano gravi e la società entra trionfalmente fra quelle male amministrate. Il che vale anche per i conti pubblici: se sai che una previsione ha perso credibilità ne correggi le conseguenze in fretta, altrimenti paghi il prezzo della poca credibilità, che già da sola diventa un costo e aggrava la distorsione.

Un po’ come capita alla guida di una vettura: se si prende una curva eccedendo in larghezza o ristrettezza della virata non è un dramma, purché si corregga subito la traiettoria, mentre rimediare in ritardo comporta manovre brusche, frenate pericolose e non è detto che non si vada a strusciare il muro o non si esca di strada. Ecco, noi siamo a bordo di quella macchina, sappiamo per certo che la curva è stata presa male, ma sosteniamo apertamente che non correggeremo la rotta prima che Marisa abbia finito di bere e Giulio di parlare al telefono.

Fuor di metafora: sappiamo per certo che, quest’anno, il nostro Prodotto interno lordo non crescerà dell’1,2%, così come scritto nella legge bilancio (e quando fu scritto, due mesi fa, era già fuori portata), ma ci si ostina a non correggere le conseguenze di ciò, a non prendere atto che mancherà all’incirca un terzo di quella crescita, perché si pretende di rimandare tutto a dopo le elezioni europee. Rischiamo di lasciarci la fiancata perché correggere la curva potrebbe far sbrodolare Marisa e distrarre Giulio. Peccato che non farlo porta conseguenze peggiori.

Forse che a Palazzo Chigi o al Ministero dell’Economia non lo sanno? Ne sono ben consapevoli, ma contano sul fatto che è tutto così evidente e scoperto da non destare neanche sospetti. Nessuno crede che i nostri conti non verranno corretti, ma si dà per scontato che accadrà in emergenza e all’italiana. Non è una bella cosa, anche perché accadrà più o meno nel momento in cui sarà aperta una procedura d’infrazione per lo scostamento dagli obiettivi di contenimento del debito e del deficit, ovvero le conseguenze della crescita artatamente sopravvalutata. A quel punto si proverà a scaricare le responsabilità all’esterno, facendo credere che sia una conseguenza della procedura e non della traiettoria sbagliata. Trucchetto infantile e patetico, che rende poi difficile contenere le spinte irresponsabili. Se la colpa è di altri – sosterranno quanti sono pronti a dire qualsiasi cosa, pur di indebolire il governo – allora mandiamoli a stendere e facciamo soltanto i nostri interessi. Fingendo di non sapere che il nostro principale interesse consiste nel far scendere il peso del debito sul Pil, giusto per non svenare gli italiani con il pagamento degli interessi.

Ora, per carità, è pur legittimo e non privo di aspetti rivelatori e interessanti il dibattito sul terzo mandato di sindaci e presidenti di Regione, ma come si fa a non sentirne il sapore falso di polemica montata a scopo distrattivo? È avvincente il percorso che porta, nel giro di pochi mesi, dall’avere sostenuto la Repubblica presidenziale, con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, all’avere abbracciato il premierato, sostenendo che consista nell’elezione diretta del capo del governo, sconosciuta in tutti – dicasi tutti – i sistemi di premierato esistenti. C’è dell’istruttivo in certi percorsi, ma c’è anche il non taciuto desiderio che si parli di quelle cose (per giunta tradendo anche il significato delle parole) pur di non lasciare che si faccia troppa attenzione ai conti che devono essere corretti.

Si può – e si deve – osservare che all’opposizione si sono accomodati nella facile e poco onesta condizione di chi pensa sia furbetto chiedere più spesa e meno tasse, il che supera l’antico dilemma fra capienza della botte e disponibilità del coniuge, ma rischia d’essere osservazione rituale. Il problema grosso non sono gli interpreti di cotale rappresentazione, ma il pubblico votante che non ha ancora capito d’essere anche pagante.

Davide Giacalone, La Ragione 18 febbraio 2024

www.laragione.eu

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