Economia

Credibilità fiscale

Credibilità fiscale

Presidente e segretario del partito di maggioranza relativa, due uomini di governo, nell’impostare la strategia politica futura e il cambio gestionale interno, non hanno ritenuto di fare della manovra economica, varata poche ore prima, una bandiera che simboleggi le proposte da fare agli italiani. Li capisco, perché lo spirito con cui l’insieme dei provvedimenti è stato assemblato è quello della necessità, non quello dell’opportunità. Un altro governo, al loro posto, avrebbe fatto più o meno le stesse cose, nel senso che si sarebbe trovato con la stessa libertà di scelta: poca.

I bisogni indotti dal dovere evitare speculazioni contro di noi, come gli obblighi derivanti dal dovere trovare sul mercato le risorse con cui finanziare il debito, sono, invece, altrettante occasioni per darsi la forza di un cambio di passo. La difficoltà può essere tradotta in vantaggio, se si ha la capacità di proporre all’Italia un nuovo patto sociale e politico. Proprio per questo, però, senza nulla volere concedere ad una detestabile demagogia, si deve avere ben chiaro che tagliare i costi della politica è indispensabile e va fatto subito, perché da questi non dipende la stabilità del bilancio, ma la credibilità di chi lo amministra. Le nostre istituzioni, partendo dalle aziende sanitarie e dai comuni, per giungere al Parlamento e alla presidenza della Repubblica, sono troppo costose, troppo affollate e troppo protette con privilegi odiosi e inaccettabili. Si deve partire da lì.

Poi c’è la partita fiscale, decisiva. La manovra contiene cento diverse cose. Alcune sono giuste, altre totalmente sbagliate. La tassa sulle autovetture di lusso non è un anticipo di giustizia sociale, ma di prelievo patrimoniale. Sono i fautori del super bollo a genuflettersi alla demagogia piazzaiola, ma sono sempre loro ad avere dimostrato che la via della patrimoniale è aperta. Potrebbe essere la via della perdizione, se non se ne saprà dare un’accettabile spiegazione politica.

Per l’anno in corso, come avevamo (facilmente) previsto, la correzione di bilancio è minuscola: 1,5 miliardi. L’anno prossimo, che potrebbe essere elettorale, è contenuta in 5,5 miliardi. Ne serviranno 20 nel 2013 e altrettanti nel 2014. Totale: 47 miliardi. Per raggiungere quella cifra si faranno operazioni destinate a creare scontenti e proteste, oltre tutto sentendosi accusare di avere lanciato la palla nel campo della prossima legislatura. Teniamo a mente queste cifre e mettiamole a confronto con quelle che seguono: ogni anno spendiamo circa 70 miliardi per pagare interessi sul debito pubblico, ogni cento punti base di differenziale rispetto al tasso che pagano i tedeschi ci costano 16 miliardi, il che significa, con l’attuale spread, circa 100 miliardi nello stesso arco temporale coperto dalla manovra (la media va ponderata, ma qui serve a capirsi). In queste condizioni è normale che molti italiani abbiano l’impressione si stia versando del vino dentro una botte bucata. E non basta, perché il tempo a venire porterà tassi d’interesse più alti e sarà sufficiente un declassamento (interessato) del nostro debito per aumentare lo spread. Come a dire che il buco s’allarga, talché non ha molto senso pompare sempre più vino.

Pensare di far crescere la pressione fiscale è pura follia. Annunciare le riforme a pressione invariata è un passatempo che non porta consensi, anche perché la credibilità non è alle stelle e, contemporaneamente, aumentano i costi di carburanti, luce e gas, quindi il prelievo dalle tasche di famiglie e imprese. Ciò significa che il compito della politica è tagliare significativamente le spese, proprie e del settore pubblico, liberando energie per finanziare la crescita. Che è il nostro vero problema. Per la riduzione del debito servono dismissioni di patrimonio pubblico, ma anche un diverso ragionamento fiscale. Quando si dice che il nostro debito complessivo, pubblico più privato, è in linea con quello degli altri Paesi europei si dice una cosa vera, ma si mette nel conto il patrimonio dei privati. Anziché attendere d’essere costretti ad una patrimoniale, varandone delle mascherature, perché non proporre un’adesione spontanea? Del tipo: se tu, contribuente onesto, che mi hai già detto d’essere facoltoso, mi anticipi il gettito degli anni futuri io ti faccio uno sconto fiscale e uso quei soldi per tagliare il debito. Questo diminuirebbe il costo degli interessi e, quindi, non creerebbe deficit futuro.

Sarebbe un modo per dimostrare che la politica esiste e sa fare il suo mestiere, il primo dei quali è guadagnare la credibilità necessaria a formulare proposte che coinvolgano il futuro. Senza usarlo come tappeto sotto al quale nascondere ciò che oggi non si riesce a fare.

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