Economia

Cuneo crescente

Cuneo crescente

Diminuiremo le tasse. Anzi no: le abbiamo già abbassate. Che un evento positivo non capiti è spiacevole, ma che sia già capitato e non ce ne si sia accorti è oltremodo disdicevole. A guardare il grafico elaborato dall’Ocse, relativo al cuneo fiscale, però, non solo non c’è stata nostra distrazione, ma il carico fiscale e previdenziale è aumentato. E non solo il cuneo italiano, ovvero la differenza fra quanto il lavoratore costa al datore di lavoro e quanto effettivamente egli incassa, è assai più alto della media dei paesi Ocse, ma la distanza è cresciuta nel tempo. Nel 2000 la media Ocse era al 36.6% del salario, mentre in Italia pesava per il 47.1, con 10.5 punti di differenza; nel 2015 la prima è al 35.9, mentre la seconda al 49, con 13.1 punti di differenza.

Questi dati, rilanciati da Truenumbers, si riferiscono al cuneo per ciascun lavoratore. Da qui vanno sottratte le eventuali detrazioni cui può avere diritto, quale componente di una famiglia. Ma quel che ci interessa vedere, adesso, è uno degli elementi che ci fanno perdere competitività: il peso di fisco e previdenza aumentano costantemente, distanziando ulteriormente la media dei nostri diretti concorrenti. La seconda cosa rilevante è che il picco si raggiunge proprio nel 2015, ovvero nell’anno in cui più alte erano le defiscalizzazioni e le decontribuzioni per i nuovi assunti. Tanto allettanti, appunto da avere gonfiato le assunzioni, salvo poi generare un confronto negativo non appena quelle agevolazioni sono significativamente diminuite. Ma se il 2015 segna il picco, in aumento anche rispetto al 2014, essendoci nella media anche de facilitazioni, significa che sui lavoratori non neoassunti il peso del cuneo fiscale è cresciuto più di quanto già non segnali quella esagerata percentuale.

La linea della media Ocse segnala una seconda particolarità: per fronteggiare la crisi gli altri (in media, appunto) hanno fatto scendere il cuneo, mentre il nostro è salito. Mentre gli altri alleggerivano i prelievi per non compromettere troppo i consumi, da noi si rendevano più onerosi, per finanziare i tagli di spesa che non si riuscivano a fare. Ed è pur vero, lo ripeto, che questo andamento si riferisce al cuneo vero e proprio, senza contare le eventuali successive detrazioni, ma anche questo modo di procedere ha una conseguenza: il lavoratore che vede crescere il cuneo può anche poi giovarsi di detrazioni, può anche incassare gli 80 euro della regalia governativa, ma sa che il primo è un dato stabile, che ha una sua perversa continuità storica, mentre le seconde possono essere temporanee, come è confermato dalla demoniaca instabilità fiscale cui siamo, da troppo tempo, sottoposti. Quindi il saggio lavoratore, il genitore che sa quanto la famiglia dipenda dalla capacità di generare reddito, eviterà di tradurre in consumi detrazioni e regalie, cercando il più possibile, per quanto le tariffe amministrate e le altre tasse e imposte lo permettano, di trasformarli in risparmi. In accantonamenti da utilizzarsi quando il cuneo continuerà a essere molto più alto che altrove, mentre le detrazioni potranno essere cancellate o diminuite, annunciando che non si mettono nuove tasse.

Il che aiuta a spiegare perché quei soldi si ritrovano solo marginalmente nei consumi. Perché l’inflazione si manifesta, sebbene asfittica, solo nei prezzi dei beni durevoli (investimenti familiari, non consumi). E se questi numeri non sono la dimostrazione che ci si muove nella direzione sbagliata non so quali altri possano essere più convincenti.

Cuneo crescente

Davide Giacalone

www.davidegiacalone.it

@DavideGiac

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