Economia

Da Toledo a Pomigliano

Da Toledo a Pomigliano

Nella fabbrica Jeep di Toledo, Ohio, gli operai sono dalla parte di Barack Obama. Stanno con la “sinistra”, se è lecito tradurre così il loro voto annunciato, a favore dei democratici. Il fatto è che stanno anche dalla parte di Sergio Marchionne e degli italiani di Fiat, con i quali il presidente statunitense ha salvato quella fabbrica dalla chiusura. E qui la traduzione rischia di farsi urticante, ma anche interessante: perché, per quegli operai, si tratta della stessa preferenza, della stessa partita. Un tema sul quale il sindacato italiano, tutto quanto, non solo la Fiom, farebbe bene a riflettere.

Così come il nostro sistema produttivo farebbe bene a riflettere sulle parole di uno di quegli operai, oramai anziano e in pensione, che da giovane fece il sindacalista: so bene che c’è la globalizzazione, ne capisco le caratteristiche, ma se vogliono fare un’altra fabbrica in Cina la facciano pure, solo che la Jeep è un prodotto statunitense, e rimane qua, non può che essere prodotta qua. Dovrebbero prenderlo a far lezione, quell’operaio, perché ha capito quel che a molti sembra ostico: nel mercato globale non conta solo il costo dei fattori produttivi, ma anche l’attrattività e la qualità di un prodotto. Non so se ne è al corrente, ma so per esperienza quel che dicono i cinesi: se volete vendere macchine di lusso ai nostri ricchi non producetele in Cina, perché in quel caso non le comprerebbero mai.

Quando Mitt Romney ha detto agli americani: votate Obama e rischierete di fare la fine dell’Italia, si riferiva alla spesa pubblica improduttiva alimentata contraendo debiti. Noi, che italiani lo siamo di già, sicché conosciamo la nostra fine, ben sappiamo che non ha tutti i torti: l’intermediazione pubblica della ricchezza sembra essere la panacea di molti mali, quando si vive nell’abbondanza (e quando si vive in quel modo molti mali si risolvono da sé), ma poi diventa un male, un’infezione, una droga capace di confondere le cause con gli effetti, talché se ne chiede sempre di più laddove si dovrebbe ridurla. A Toledo, però, come in quel che rimane dell’industria statunitense, Romney corre il rischio non solo di non trovare sostenitori, ma neanche ascolto. L’Italia, da quelle parti, e non solo da quelle, è vista come un paradiso. Ci saranno pure dei problemi, ma sempre paradiso resta.

Si sa, non tutto può essere tradotto. Ci si può sforzare di rendere il senso letterale delle cose, ma poi il significato cambia se si usano paradigmi culturali diversi. Resta, comunque, singolare che da noi Marchionne sia vissuto come una specie di nemico degli operai (salvo il fatto che proprio loro votano a favore dei piani che presenta), oppure come uno che non centra mai gli obiettivi contenuti nei piani che elabora (ma lì in Usa è noto per il contrario, ovvero per la capacità di rispettare gli impegni). E siccome quel vecchio operaio americano ha ragione, c’è la golabalizzazione, e siccome ancora noi non siamo la Cina, né lo sono gli Stati Uniti, ma noi e loro siamo due facce della medaglia occidentale, c’è più di un motivo per riflettere su quel che stiamo facendo. E anche su quel che stiamo dicendo.

Marchionne ha ragione, quando non si piega all’idea che il numero degli operai necessari in una fabbrica possa essere stabilito da un giudice. Fornero e Passera hanno torto, quando criticano quella sua rigidità, perché se vogliono un mondo in cui il welfare prescinde dalla competitività devono metterci i soldi che coprano la differenza. Non li hanno? Stiano zitti. Sono cose che ho già scritto. Mi hanno detto: ma non vedi che Marchionne lo fa provocatoriamente? Certo che lo vedo, e allora? Cosa sono le riforme strutturali, da tutti invocate e da niuno praticate, se non la riconduzione del mercato del lavoro alle compatibilità economiche? Se vogliamo creare più posti dobbiamo introdurre meno rigidità. La riassunzione di quei 19 operai va in direzione opposta e crea miseria. Marchionne sarà pure un provocatore, ma ha ragione.

Ho letto le dichiarazioni di Raffaele Bonanni, secondo cui Fiat deve riassumere senza licenziare. E chi paga? Lo stesso Bonanni è primo firmatario, assieme a Luca Cordero di Montezemolo, di un manifesto per la Terza Repubblica. Nobile intento, ma quelle sue parole vanno bene per la metà della prima. Vanno bene per un democristiano alla Carlo Donatt Cattin. Nella terza sono folklore, perché per governare la terza è necessario disporre di gente che stia almeno al livello del vecchio operaio di Toledo, capace di capire la globalizzazione, il valore del mercato e quello del marchio. Anche da noi ci sono operai come lui. Ce ne sono a Pomigliano, ce ne sono nei referendum. E’ la loro rappresentanza politica e sindacale a essere in ritardo.

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