Economia

Debito contro debito

Debito contro debito

Per spegnere gli incendi, nei casi gravi, si possono utilizzare gli esplosivi. Lo scoppio, se adeguatamente grande, interrompe la linea di fuoco, sposta l’aria, toglie l’ossigeno e consente di lottare meglio contro le fiamme, se non proprio di soffocarle. Il rogo del debito europeo può essere combattuto facendo esplodere altro debito, con cui finanziare i soli estintori ragionevolmente efficaci: l’aumento della ricchezza prodotta e la sottrazione della spesa dalle mani di chi ne perse il controllo. Su questo occorrerebbe ragionare, una volta giunti al bivio ineludibile e drammatico: se salviamo la Grecia, alle condizioni che i greci vorrebbero, facciamo saltare l’euro, perché nessuno accetterà di pagare agli altri quel che a casa propria non può avere; se non la salviamo danneggiamo seriamente l’Unione europea, che perderebbe un pezzo economicamente non rilevante, ma geopoliticamente e storicamente di gran peso. Come si fa ad andare avanti senza imboccare nessuna di queste due strade?

Per tornare al passato è troppo tardi, sarebbe come volere fare andare a marcia indietro un aereo: cade. L’Ue ha mille difetti, a cominciare da una produzione regolamentare maniacale, ma oggi garantisce livelli di libertà e sicurezza sconosciuti in passato. Criticare va sempre bene, studiare, però, va anche meglio. La Grecia subirebbe ben altra sorte, se non fosse dentro questo bozzolo. L’euro, nei suoi primi dieci anni di vita, è stato un successo. In particolare per i Greci, che hanno visto crescere notevolmente il loro tenore di vita. Quando sono arrivati i problemi, a partire dal 2010, ha dimostrato la pericolosità delle sue mancanze. Tenere dentro una stessa moneta debiti diversi, venduti a tassi diversi, con curve fiscali e di costo diverse, è come tenere dentro la stiva della barca botti slegate e vaganti: va bene finché il mare e piatto, ma alle prime onde sfonderanno lo scafo. Allora, a partire dal 2011, proponemmo d’imbragarle con la rete della federalizzazione del debito. La Germania s’oppose, per giunta costruendo il primo salvagente greco in modo da guadagnarci. Fu un passaggio pessimo, di cui il loro governo porta la responsabilità. I nostri, in compenso, mostrarono la loro pochezza. Poi, però, il vuoto fu rimediato dalla Banca centrale europea che, non senza il dissenso tedesco e di altri, riprese quella direzione di cammino, sebbene da altra strada. Da allora a oggi l’Ue non ha ancora fatto la cosa più urgente: ragionare e convocare una conferenza sul debito.

La Grecia, ora, ci conduce davanti a quel bivio. Versione grottesca del problema allora non risolto. Riprendiamo la proposta di allora, adattandola al malato dopo la cura Bce: si crei nuovo debito federale, usandolo per finanziare investimenti produttivi laddove il peso del debito è insopportabile. Alleggeriamolo non tagliandolo, ma rendendolo onorabile. La gestione di quegli investimenti non sia nazionale, affinché quei soldi non vadano a finanziare i vizi. Come la debitodipendenza, che illude di potersi drogare a vita, senza conseguenze. I soldi sono europei, gli investimenti e la gestione siano europee. Sarebbe una politica espansiva perfettamente conciliabile con il necessario rigore nell’amministrazione della spesa pubblica interna, che deve calare, essere tagliata, perché moltiplicatrice di rendite e sprechi, vero e terribile veleno propinato ai meno protetti.

Nell’immediato il debito complessivo crescerebbe, ma anche la sua sostenibilità. A quanti sono più intossicati da quella dipendenza si offre una via d’uscita, chiedendo in cambio la perdita di sovranità nella gestione di quel denaro. Sarà una tragedia per chi comanda e per chi approfitta. Sarà ossigeno per chi lavora e paga le tasse. Dinamite contro l’incendio, quindi da maneggiare con molta cura. Ma l’alternativa consiste nel rallentare il volo unitario, non potendo tornare indietro. Prima o dopo va in stallo e cade lo stesso. Agli europei si mostrerebbe un volto diverso dell’Unione: non più spesa mediata, talché tutti i vincoli li si racconta come europei e tutte le regalie come autoctone (supremo imbroglio al popolo), ma spesa diretta e produttiva. A quel punto i governi nazionali possono anche sovranamente opporre, se desiderano, il loro migliore modello del clientelismo e della fila ai bancomat. Conto che, a quel punto, il referendum lo chieda il popolo, non il governo.

Pubblicato da Libero

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