Economia

Decreto stercorario

Decreto stercorario

Hanno combinato un pasticcio. Se ne sono accorti (credo), ma devono sbrigarsi a chiarire che quanto contenuto nel decreto legge è un errore, altrimenti arrivano nei tribunali i libri delle società agricole che hanno investito nella produzione di energia elettrica da biomasse. In ogni caso il danno è già prodotto, perché il settore s’è fermato. Trafitto da caos fiscale. E sempre che non sia satanismo letale.

Il decreto è quello così detto “Irpef”, contenente i celeberrimi 80 euro in busta paga (DL 24 aprile 2014, numero 66). Varrebbe la pena riprodurlo per intero, l’articolo 22, ma temo di perdere tutti i lettori. Non perché siano incapaci di capire, ma perché presi dalla rabbia manderebbero in coriandoli la pagina. Gustate appena l’inizio: “All’articolo 1, comma 423, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, le parole …”. Una prosa che è stata concepita apposta per non essere capita, un modo per pubblicare decreti che poi richiedono la consultazione degli esperti, non tanto per applicarli, quanto anche solo per sapere cosa c’è scritto.  E non sottovalutate la perla del riferimento a quell’articolo 1, comma 423. Che neanche era l’ultimo. Ecco una regola che si dovrebbe introdurre: leggi e decreti devono essere scritti in modo tale che leggendoli se ne comprenda il contenuto, altrimenti sono inaccettabili, prima che incostituzionali.

In questo caso, però, lo scrivere contorto, oscuro e occultante torna utile: potranno dire d’essersi espressi male. Perché la sostanza del problema prevale sulla forma. La norma fin qui in vigore stabiliva (lo dico in italiano, non in decretese) che la produzione di energia elettrica da biomasse (rifiuti biologici, naturali, ivi compreso lo sterco) era da considerarsi produttiva di reddito agrario. Vale a dire che l’azienda agricola che investiva in questo campo doveva riportare fra i propri redditi il guadagno relativo, a sua volta tassato in modo agevolato. Il novello decreto, con l’abracadabra illeggibile, e qui devo per forza citare il testo, perché è l’oggetto dell’errore, stabilisce che, relativamente a quella produzione elettrica: “il reddito è determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto il coefficiente di redditività del 25 per cento”. Non è solo orribile è anche devastante.

Gli impianti hanno incentivi ventennali e, quindi, quasi tutti dei finanziamenti, dei mutui di pari durata. La loro redditività annua serve a coprire, mediamente: per un terzo il costo del rateo, relativo al debito; e per un altro terzo i costi di manutenzione e personale. All’azienda va il terzo rimanente. Se si applica al totale il 25% di redditività, vale a dire un quarto del tutto, non si troverà più nessuno disposto a investire un tallero in un lavoro che rende nulla. Non solo, perché i business plan studiati per reggere venti anni saltano già al primo. Da qui la gita in tribunale, per portarci i libri e dichiararsi falliti. E non basta, perché il primo comma di quel ventiduesimo articolo del decreto chiarisce, bontà loro, che l’applicazione della nuova tassazione non è retroattiva, non vale fino al 31 dicembre del 2013, ma vale dal primo gennaio del 2014. Solo che il corrispettivo deve essere pagato adesso, in sede di acconto. Quindi chi ha investito prende una fregatura pluriennale, dovuta al cambiamento sleale delle norme, e deve scucire subito.

Come se ne esce? Ammettendo subito l’errore, dichiarando di avere fatto una terribile confusione fra le varie fonti rinnovabili, i diversi incentivi e le diverse modalità di finanziamento e, soprattutto, ammettendo di avere scambiato un allevatore padano per una multinazionale energetica. Dopo avere ammesso l’errore, da subito, senza aspettare l’iter di conversione, si dica che quel 25% entra a sua volta a far parte del reddito, sempre che la presunzione non sia documentalmente smentita. Quindi non deve intendersi come la sottrazione di un quarto della torta. Sarà una batosta fiscale, ma, almeno, non sarà mortale per tutti.

La fretta è data dal fatto che dove non uccide l’imposizione ammazza l’incertezza fiscale. E’ commettendo errori di questo tipo che senza riformare, senza tagliare, senza nulla fare si riesce comunque a perdere prodotto interno lordo, iniettando dosi mortali d’incertezza. Da quando il decreto si trova sulla gazzetta ufficiale l’intero settore è fermo, perché nessuno sano di mente s’imbarca in una tale avventura per cercare di usare il letame. Che siccome gli avanza, c’è anche il caso gli venga qualche idea su come impiegarlo.

Pubblicato da Libero

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