Economia

Def e amuleti

Def e amuleti

Siate di buon umore e tirate fuori gli amuleti. Martedì scorso il Consiglio dei ministri avrebbe dovuto approvare il Def (Documento di economia e finanza), ma lo hanno rinviato ad oggi, venerdì. Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, però, ne hanno illustrato i contenuti. Da allora a oggi abbiamo fatto conti ed elaborato opinioni su quelle loro parole. Ieri Piero Fassino ha riferito: il presidente del Consiglio dice che non c’è un testo pronto, quelle in giro sono solo bozze. Di che discutiamo, da martedì? Divertente. Fassino ha aggiunto: ci ha garantito che nel Def non ci saranno tagli nei trasferimenti agli enti locali. Certo che non ci saranno, perché quello è un documento d’indirizzo. Se ne riparlerà a settembre, dovendo preparare la legge di stabilità.

Gli amuleti servono dopo avere letto quel che ha detto Padoan, da Singapore: la crescita italiana potrà essere del 2% nel lungo periodo. John Maynard Keynes (il più influente economista del secolo scorso), a chi gli chiedeva cosa sarebbe successo nel lungo periodo, rispose: saremo tutti morti. Oso supporre che Padoan si riferisca a un orizzonte più prossimo, ma i conti non tornano: se l’Italia cresce la metà della media dell’eurozona, proprio nel momento in cui esce dalla più profonda recessione ed è attiva la spinta monetaria della Banca centrale europea, cosa mai dovrebbe accelerarne lo sviluppo, quando le migliori condizioni immaginabili saranno alle spalle? Questo è l’andazzo: rinviare e tirare a campare. Servirebbe, invece,  un’operazione shock, capace di dimostrare che l’Italia ha capito il pericolo della crescita rallentata. Della spesa pubblica, della pressione fiscale e del deficit (quindi del debito) che aumentano anziché diminuire.

Sostiene Padoan che la Commissione europea promuoverà il nostro Def. Certo che lo farà, ma continuare a pensare all’Europa come ad un vincolo conduce a commettere un cumulo di errori. Supporre che i conti pubblici di Roma debbano convincere Bruxelles distrae dalla questione più importante: dovrebbero convincere gli italiani. Il punto non è che il Def sventi aggravi dell’Iva, sicuramente depressivi. Il punto è che si approfitta di una ripresina indotta dalle politiche espansive europee (altro che eurorigore!) per continuare a non fare quello che da anni è urgente: tagliare la spesa pubblica. Ci stiamo prendendo in giro da soli, immaginando che le non scelte siano buone cose se solo si riesce a farle deglutire alla Commissione.

Vedrete che tutta la discussione finirà con l’incentrarsi sullo scattare o meno delle clausole di salvaguardia. Se saranno sventate, il governo griderà vittoria. Se scatteranno, gli oppositori strilleranno. Modo bislacco di vedere le cose. L’Iva è solo l’imposta messa (da questo governo) ad automatica difesa dei saldi. Che vanno rispettati non perché “ce lo chiede l’Europa”, ma perché, altrimenti, sale il prezzo del debito, superando il valore di ogni furbata. Se i saldi si difendono in altro modo, ad esempio facendo crescere l’imposizione su altro (la casa è l’oggetto più gettonato: +178% in tre anni), l’Iva non sale automaticamente, ma noi stiamo ugualmente dandoci la zappa sui piedi. Porsi come obiettivo il non far scattare l’Iva significa avere già perso la partita, concentrandosi sulle conseguenze.

Se non vogliamo svegliarci, nell’autunno 2016 (quando si fermerà la Bce), avendo accresciuto il nostro svantaggio competitivo, la pressione fiscale deve diminuire. Altro che non aumentare. Tale risultato, favorito dalla discesa dei tassi d’interesse, può essere agguantato se si taglia la spesa pubblica. Che, invece, come l’Istat ha documentato e qui abbiamo raccontato, continua a crescere.

Né si pensi di cavarsela premendo sul deficit, per il quale s’invoca la corda “elastica”. Cui impiccarsi. Noi continuiamo a cumulare deficit più alti di quelli programmati, con il risultato di far crescere il debito. Significa che il nostro problema s’aggrava. Si fa credere a quattro beoti propagandisti che la spesa pubblica sarebbe anticiclica e pro sviluppo, scomodando l’anima di Keynes. Ma nessuna spesa improduttiva ha mai prodotto sviluppo. Semmai produce debito e tasse. I veleni che uccidono la crescita. Forse propiziano voti, ma poi devi portarli in qualche santuario, invocando miracoli impossibili e immeritati. Fin qui il miracolo l’ha fatto l’Italia che produce ed esporta. Quella che ancora si munge.

Pubblicato da Libero

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