Economia

Deficit boomerang

Deficit boomerang

La chiusura della procedura d’infrazione, per eccesso di deficit, è un fatto positivo. Ma ce la stiamo mettendo tutta per trasformarla in un boomerang. Interviste e annunci governativi, incentrati sulla disponibilità di 12 miliardi aggiuntivi, non sono solo privi di fondamento (e di aritmetica), ma estremamente controproducenti. Alimentano l’illusione che quei soldi abbiano qualche cosa a che vedere con l’Imu o con l’Iva, cosa del tutto falsa, e lanciano un velenoso messaggio verso l’esterno: gli italiani sono convinti di avere svoltato e s’apprestano a riprendere la spesa pubblica sconsiderata. Correggiamo subito il tiro, o ci faremo veramente male.

Da quando la Commissione europea aprì la procedura d’infrazione, nel 2009, l’Italia ha messo in atto una dura disciplina di bilancio. Siamo in avanzo primario (prima del pagamento degli interessi sul debito) dal 2011. Il nostro deficit, calcolato in rapporto al pil, scende dal 2009, senza interruzioni. Mentre quello di altri è cresciuto. Il nostro debito pubblico ha continuato a crescere, spinto dagli interessi sul debito e calcolato su un pil in diminuzione, ma assai meno di quello di altri e della media dei principali paesi Ue. Al corso sadomaso del rigore siamo stati i primi della classe. La promozione ce la siamo sudata, anche accentuando la recessione. Ora, alla vigilia del diploma, sembriamo avere le idee alquanto confuse: se si fosse voluto puntare all’immediata disponibilità di più soldi, ad allentare la stretta della spesa pubblica o a favoleggiare d’ipotetici “tesoretti”, allora si sarebbe dovuto fare come la Francia, che a chiudere la propria procedura non ci pensa nemmeno. I cugini d’oltralpe hanno, costantemente, dal 2009 a oggi, un deficit superiore al nostro, sempre fuori dai parametri di Maastricht, e, per giunta, con una previsione di crescita nel 2014 rispetto al 2013. Usano la spesa pubblica anticongiunturale, mentre noi abbiamo adottato la morsa fiscale pro-recessiva.

Nel 2011-2012 non avevamo alternative al sadomasochismo, perché i mercati praticavano su di noi la tortura dello spread. Quei ferri arroventati si sono momentaneamente raffreddati, grazie agli interventi della Banca centrale europea. Siccome non è affatto detto che la cosa duri ecco che la chiusura di quella procedura può tornare utile. Ma a patto che chi governa non prenda lucciole per lanterne.

I 12 miliardi non esistono. Semmai si tratta di uno 0,5% di possibile deficit in più, rispetto a quanto accettato dal governo Monti, ma a valere sul 2014. Sono 6 o 8 miliardi, che vanno a far crescere il debito. Niente affatto gratis, insomma. Proprio perché usciamo dalla procedura ci saranno imposte delle condizioni (sconosciute a chi ci resta) e sarebbe un bel guaio ripiombare indietro. Questo significa che chi festeggia la fine degli esami come il momento dal quale si potrà largheggiare è un illuso. O un illusionista. E, in ogni caso, se prima non si mette mano a una profonda ristrutturazione della spesa pubblica va a finire così come già si vede nei primi passi del governo Letta: proroga cassa integrazione straordinaria; proroga contratti a tempo determinato nella pubblica amministrazione; rinvio della proroga di incentivi (supposti) ecologici. Un mesto e rassegnato allungarsi del passato nell’immediato futuro. Strada sbagliata. So bene quanto sia difficile compiere scelte dietro le quali ci sono le sorti di cittadini certo non privilegiati, ma anche che se non si compiono gettiamo via il valore del dolore subito. Che fine ha fatto la spending review? Si è colto il nesso fra riorganizzazione istituzionale, specie con riferimento alle articolazioni locali, e taglio della spesa? Ci si è accorti che, dalla giustizia alla sanità, più si spende e più i servizi peggiorano? Anzi, credo che il peggioramento dei servizi sia un modo per sollecitare l’aumento della spesa.

In rigore siamo stati i primi della classe, ma in riforme e ristrutturazione della spesa siamo dei somari. Ci manca solo che i festeggiamenti per la chiusura della procedura d’infrazione siano fatti all’insegna dell’“aridatece li sordi da spendere”, anziché del cominciare a restituire soldi ai consumi e al sistema produttivo, facendo calare la dissennata pressione fiscale, e il capolavoro sarebbe completo. Fossi in Letta la metterei così: il primo ministro che parla di tesoretti e di miliardi in più da potere destinare a spesa corrente è automaticamente espulso dal governo. Se non altro si migliora la compagnia.

Pubblicato da Libero

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