Tutti (quasi) a fare i complimenti a Mario Draghi, ma l’impressione è che il significato profondo delle cose dette si sia un po’ perso per strada.
Nelle considerazioni finali leggo un messaggio chiaro: c’è stato qualcuno che pensava si possano governare gli interessi ed i conflitti, anche economici, utilizzando una specie di tecnostruttura capace di prescindere dalla politica, o dal colore del governo, invece, al contrario, per propiziare lo sviluppo sono indispensabili scelte e volontà politiche. Dopo di che lo scenario è triste, per non dire drammatico.
Non lasciamoci distrarre dai pochi numeri che ha utilizzato, non agitiamo le comari delle manovra correttiva, ma stiamo alla sostanza: il problema non è dire che si vuol tagliare la spesa pubblica, ma prendere atto che quella spesa non è nelle mani dello Stato. Oramai sono gli enti locali a gestirne la grandissima parte, pur restando soggetti fiscalmente irresponsabili. Draghi dice che non si tratta di adottare questa o quella decisione di bilancio, ma di cambiare la struttura istituzionale, altrimenti la spesa pubblica non la controlla nessuno. Di riforme istituzionali c’è bisogno per quel che riguarda la giustizia, dove Draghi ha battuto un tasto che noi martelliamo da anni: i tempi dei tributali italiani sono un insulto al mercato ed all’affidabilità, disincentivano gli investimenti. E non basta, dalla scarsa produttività non usciamo se non affrontiamo i nodi delle pensioni, dell’istruzione, delle liberalizzazioni. Tutte materie sulle quali ci sgoliamo, ma che richiedono potere un politico autorevole e forte. Il centro destra è stato insufficiente a tali compiti, ma almeno a parole intendeva muoversi in quella direzione. Adesso il governo non solo non dispone di una maggioranza che sia tale e coesa, ma su ciascuno di questi temi annuncia di volere andare in direzione opposta al necessario. La via indicata da Draghi, la stessa per la quale scriviamo in continuazione, è preclusa dalla debolezza istituzionale della politica. Quello è il nodo che ci strozza.
E non ci sono alternative al tagliarlo. C’è un passo delle considerazioni che nessuno ha commentato e che mi sembra decisivo: le privatizzazioni fatte negli anni novanta (e Draghi ne era uno degli artefici) sono state utili per alleggerire il debito pubblico, ma, non accompagnate da liberalizzazioni e politiche di mercato, non hanno avuto gli effetti che si potevano sperare. Direi anche che ne hanno avuti di perversi (e ci torneremo, con Libero). Non c’è dunque, una scorciatoia tecnocratica alla gestione del mercato, serve una politica che non sia propaganda ed elettoralismo muscolare. Serve senso di responsabilità ed idee chiare. Gli applausi a Draghi hanno un po’ coperto le sue parole, forse troppo ruvide e semplici per essere subito capite.