Ci sono piaghe sociali cui un po’ ci adeguiamo e un po’ ci rassegniamo, come la droga. Speriamo che la cosa non debba riguardare noi e i nostri cari, per il resto si fa spallucce, non senza un certo disgusto. I “drogati” sono sempre gli altri, e la loro condotta è esecrabile. Quelli che conosciamo, invece, li viviamo come diversi, immaginando che s’impasticchino raramente, sniffino con ponderazione, sballino con raziocinio. Se crollano, poi, si da la colpa alla loro debolezza, o alla condizione in cui vivono, se non direttamente alla “società”. Oltre a moltiplicare l’irresponsabilità personale, questi atteggiamenti ipocriti alimentano anche la spesa, pubblica e privata. Il tema della droga, pertanto, è ideale per dimostrare come si possano ottenere risultati migliori spendendo meno e realizzando una collaborazione virtuosa fra pubblico e privato.
Lasciamo da parte i problemi morali, facciamo finta che si possa accantonare la qualità della vita, che la libertà individuale non sia un bene prezioso. Ragioniamo di quattrini. Nel 2001 lo Stato spendeva, per il recupero dei drogati, 100 milioni di euro, divenuti 15 nel 2007. Un bel risparmio, se fosse vero. In realtà, è solo diminuita la posta di bilancio destinata alla specifica attività di disintossicazione, perché spendiamo 1 miliardo 850 milioni per costi sanitari legati alla diffusione della droga. Spiegazione: anche se un tossico non va a disintossicarsi, comunque si ricovera per epatiti, infezioni, collassi, infarti e così via andando. Anzi: meno si disintossica e più si ricovera. Stiamo facendo, insomma, un pessimo affare.
A questo si aggiunga che le strutture pubbliche dedicate ai drogati, i Sert, nel 65% dei casi li “aiutano” cono sostanze sostitutive, quindi li mantengono drogati. Tanto è vero che il 40% delle persone in carico ai Sert lo sono da più di dieci anni. Una specie di vitalizio, anzi: di mortalizio. Tutta questa gente continua a drogarsi, quindi continua ad avere problemi di salute, quindi continua a pesare sulla spesa pubblica. Spendiamo, insomma, per essere sicuri che continueremo a spendere. Non è una condotta lungimirante. Anche perché i costi non sono solo sanitari: 4 miliardi delle famiglie se ne vanno in acquisti di droga, 2 miliardi e 500 milioni dello Stato per l’applicazione della legge e (ma è difficile fare il conto esatto) un paio di miliardi collettivi in calo della produttività. A questo aggiungete che il 40% dei decessi per incidenti (dati del 2008) si deve all’assunzione di droghe, cui sommare i 150 mila feriti sopravvissuti. Dopo avere messo in fila questi numeri valutate il risparmio degli 85 milioni per il recupero e domandatevi se c’è qualche cosa di sensato.
Di tutti i casi trattati sono circa 9000, attualmente, quelli indirizzati alla totale liberazione dalla droga, con la cancellazione di tutti gli altri costi connessi. 1.500 si trovano nella comunità di San Patrignano. Il servizio che viene reso a queste persone è per loro vitale, ma per la collettività assai conveniente. Se noi convertissimo una frazione della spesa pubblica provocata dalla droga in investimento destinato a rafforzare ed estendere l’accoglienza di ragazzi da restituire puliti, e non mantenuti, avremmo migliorato il mondo che ci circonda e risparmiato dei bei quattrini. E non è lo Stato che deve fare in proprio quel che il privato ha dimostrato di saper fare meglio, ma lo Stato che si concentra nella regolazione e nel controllo di un settore in cui il mercato, l’iniziativa personale, le reti di solidarietà sociale hanno messo in atto politiche sagge e convenienti. Programma: chiudere gli spacci legalizzati, con personale medico messo a distribuire veleno, e rafforzare le comunità capaci di portare risultati certificabili. Avrei anche uno slogan gretto ed egoista: se proprio non volete farlo per i vostri figli, fatelo per il vostro portafogli.
C’è anche il risvolto ambientalista, che può portarci ad un altro slogan pulp. Proprio oggi si svolge, a San Patrignano, l’annuale WeFree Day. Quelli dell’antigroga colombiana hanno ricostruito un tipico laboratorio per la raffinazione. Ecco i numeri: nella sola Colombia, per fare spazio alla coltivazione della coca, hanno bruciato 2,2 milioni d’ettari di foresta amazzonica, e per ogni chilo di cocaina se ne buttano, nei fiumi, 600 di rifiuti chimici, assieme a 200 litri di acqua contaminata. Slogan: se proprio non volete fermare questa roba a tutela degli umani, fatelo per l’amore che portare ad animali e vegetali.
Tutto ciò restando fedeli alla premessa, ragionando come se la vita in sé, libera e sana, non sia un valore da difendere. Premessa che, a questo punto, possiamo abbandonare, credendo d’avere dimostrato che ci sono ottime ragioni per spendere meno e meglio.