Economia

Dubbi decoder

Dubbi decoder

Nel mentre la legge finanziaria, pur sforzandosi d’imbrigliare la spesa pubblica, continua a prevedere contributi pubblici per favorire l’acquisto di decoder televisivi (ma solo per il DVB, il digitale terrestre), l’amministratore delegato di Mediamarket, Pierluigi Bernasconi, annuncia pubblicamente che presso i suoi negozi i decoder si possono ritirare gratis.

Gratis? Certo, dice Bernasconi, perché il prezzo è sceso e, oramai, il contributo statale lo copre interamente. Quindi, si va da Mediamarket, si firma il ritiro dell’apparecchio e paga lo Stato. Una politica scriteriata, per le ragioni che illustro qui di seguito.

La nuova legge che regola il mondo della comunicazione, denominata spesso con il nome del ministro, Gasparri, è stata approvata dal Parlamento dopo un numero impressionante di sedute e votazioni. Nessuno può contestarne la piena e totale legittimità, né può criticarsi la ribadita volontà governativa di vederla applicata. Ma è l’eccesso di zelo che, talora, riserva sorprese.

La legge fissa una data, molto vicina (il 2006), entro la quale tutti i televisori dovranno essere dotati di decoder digitale, altrimenti diventeranno inutilizzabili. Il che significa che, entro un paio d’anni, a voler garantire la sopravvivenza dei televisori che gli italiani oggi utilizzano, si dovranno collegare alcune decine di milioni di decoder (non so essere più preciso: ci vorrà un decoder per ciascun televisore, ed ogni famiglia ne possiede due o tre). Morale: quella data è del tutto fuori dalla realtà. Ma questa è una mia opinione, il governo pensa il contrario e per incentivare la diffusione di decoder ha deciso di finanziarne l’acquisto. E qui arriva la frittata.

Bernasconi sa far di conto, e, oggi, offre i decoder facendoli pagare interamente allo Stato. Noi sappiamo che l’elettronica di consumo è un mercato in cui i prezzi decrescono velocemente, allora: cosa succede quando il prezzo di un decoder sarà inferiore al contributo statale? E chi ci dice che non sia già così? Anzi, sono sicuro che è già così. Difatti, se presso Mediamarket, al consumo, il prezzo ed il contributo sono pari, comprendendo un guadagno per il commerciante, è evidente che lo Stato risparmierebbe comperando i decoder in blocco e recapitandoli gratis alle famiglie.

Ma c’è un problema: può, lo Stato, sia pure assicurandosi un enorme sconto quantità, accollarsi il costo di decine di milioni di decoder? Assolutamente no (per ora mi limito alla possibilità, vengo poi all’opportunità). Allora preferisce elargire un contributo, secondo il criterio che chi primo compera meno paga. E’ un saggio criterio? No, non lo è proprio alla luce della legge e degli obiettivi che si prefigge. Diciamo che, nel corso del prossimo anno, si realizzano le previsioni del governo e, grazie anche al contributo, tre milioni di decoder trovano il loro posto nelle case degli italiani. Ma mettiamo che le cose vadano meravigliosamente bene: festeggiamo il natale 2005 con dieci milioni di decoder installati. Quanti italiani, la mattina dopo, senza alcun contributo, spenderanno i soldi che non hanno voluto spendere la mattina prima, con il contributo pubblico ed in pieno boom diffusivo? Pochi, credo. Eppure tre milioni sono solo una piccola fetta di televisori (ed anche dieci sono assai meno della metà). Con tanti saluti all’obbligo di spegnimento del segnale analogico, previsto dalla legge.

Tutto questo per dire che lo strumento del contributo statale è il meno idoneo a favorire un’effettiva diffusione di una tecnologia, mentre è certamente una spesa che aggrava le condizioni delle pubbliche casse.

In generale non credo che il compito delle leggi sia quello di stabilire quali tecnologie sono buone e quali devono avere successo. Se una tecnologia è buona il mercato ne decreta il successo, senza scomodare legislatori e governanti. Mettere dei soldi a favore del DVB significa distorcere il mercato, ad esempio a sfavore del digitale satellitare o delle tecnologie di trasmissione su cavo. E tale distorsione limita la possibilità e la capacità di scelta del consumatore. Ecco, se fosse al governo la sinistra direi che è una scelta comunista, da economia pianificata, quindi fallimentare. Ma governa la destra.

Dal governo rispondono: ma quei soldi servono a far fare un salto tecnologico al paese, introducendolo nel mondo digitale. Errore: quando si passò dalla telefonia mobile analogica (Etacs) a quella digitale (Gsm) nessuno immaginò di spendere soldi pubblici, e l’operazione fu uno strepitoso successo. Il mercato dell’emittenza non è meno affluente e ricco, non deve superare alcuna barriera di sottosviluppo, non contiene alcun soccorso di socialità, non prevede alcuno svantaggio nell’accesso. Niente di tutto questo. E, allora, che li spendiamo a fare quei soldi?

Mettere il timbro politico su una scelta tecnologica assomiglia ad un modo brevettabile per appesantirla al punto d’affondarla. E, questo, lasciando da parte tutte le altre considerazioni, cui gli oppositori politici sono più tradizionalmente affezionati.

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