Economia

E i tagli?

E i tagli?

Dopo una scorpacciata di annunci oggi assaggeremo le pietanze, sperando che non consistano nell’annuncio di piatti da cucinare. So già che sarà meno di quel che serve, ma comunque più di niente. Il menù è stato discusso con tanta vivace svagatezza che sembra possa contenere di tutto. Sarebbe già tanto se un paio di portate sostanziose risultassero commestibili. Mi colpisce, però, che neanche sia comparsa, neanche abbia trovato spazio fra gli annunci, la voce decisiva: il taglio alla spesa pubblica corrente.

Si dirà: ma quello è il lavoro di Cottarelli. Neanche per idea. Al commissario è stata affidata la spending review, la semplice revisione, ispezione, rivista. Da lì possono arrivare risparmi, anche consistenti, ma non tagli. Già è singolare che per accertare come si spende e come si possa risparmiare si debba ricorrere a un commissario, laddove già esiste la ragioneria generale dello Stato (e se non ci si fida la si cambi), ma i tagli, quelli veri, profondi e necessari, comportano scelte politiche, perché riguardano la riduzione non degli sprechi, ma dei ruoli che lo Stato gioca. Se fate un giro delle pubbliche amministrazioni ovunque sentirete dire che si sta a stecchetto e che la spesa è stata ridotta, ma poi la spesa complessiva crescere. Tagliare significa estirpare questo fenomeno.

Si può tagliare il costo del debito, ma questo comporta la scelta politica di vendere patrimonio. I tecnici possono essere consultati per illuminare sui dettagli, ma la sostanza è politica. Si vendono gli immobili storici che si trovano nei centri cittadini? (secondo me sì). Si vendono le municipalizzate? (secondo me sì). E così via. Si può tagliare nella gestione della sanità, della scuola e della giustizia, rendendo migliori i tre servizi ai cittadini, si può farlo usando la digitalizzazione, che porta con sé la valorizzazione del merito, l’emersione del demerito e la trasparenza. Per farlo occorrono scelte politiche, sapendo di dovere fare a testate con le corporazioni. Fin qui non ho sentito nulla, mentre si continua a parlare della carta igienica. Si può tagliare riducendo la burocrazia e spostando il personale (non si licenzia nessuno, nel pubblico impiego) laddove cresce la spesa per le esternalizzazioni.

Il gioco dei bussolotti fiscali serve a niente. Matteo Renzi sostiene di essere il primo a far diminuire le tasse, ma che nessuno gli crede. Magari così fosse, purtroppo è l’ennesimo, ma nessuno se ne accorge. Le tagliò il governo Berlusconi, le tagliò Prodi, ma gli effetti mancarono perché mentre si gratticchiava da una parte si aggravava dall’altra, talché, miracolo aritmetico, mentre si diceva di tagliare il fisco cresceva la pressione fiscale. Dire che se si mettono pochi euro in tasca ai redditi bassi quelli si trasferiscono subito in consumi e crescita, generando gettito, è pura illusione, perché: a. i consumi poveri sono anche in evasione fiscale; b. i veri poveri non sono quelli che guadagnano poco, ma quelli che non guadagnano affatto; c. in era di aspettative deflazionistiche e terrore fiscale taluni, come molti pensionati, li mettono da parte, perché non si fidano. E hanno ragione.

Tutti, a cominciare dai guardiani dei parametri, si fiderebbero di più se si dicesse: quast’anno blocco la spesa pubblica, l’anno prossimo la riduco del 10% e il successivo di un altro 10%. Rizzerebbero le orecchie, perché, in quel caso, gli sgravi fiscali non somiglierebbero alle elemosine e si troverebbe lo spazio per investimenti. Farlo non è impossibile, anzi sarebbe prezioso e doveroso. Solo che comporta una ristrutturazione dei referenti sociali e del mercato del consenso. Comporta essere capaci di parlare, credibilmente, del futuro, chiedendo fiducia oggi per gli applausi dopodomani. Se non se ne è capaci, se si sceglie fra Fiom e Cgil, se la voce tagli di spesa e funzioni pubbliche non compare nel menù, il resto sarà variamente opinabile o apprezzabile, ma non decisivo. E questo non è insipido benaltrismo, bensì certezza che i numeri non si fanno rintontonire dalle chiacchiere.

Ora m’attovaglio e preparo ai piatti governativi. So già che non avrò bisogno, poi, di un digestivo. Semmai di un calmante.

Pubblicato da Libero

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