Promossi in orale e bocciati in scritto. I governi italiani subiscono la sorte degli studenti facondi, ma poco studiosi. In una stagione è tutto un tambureggiare di dichiarazioni zuccherose, con i complimenti degli altri governanti alle tante cose buone che i nostri vanno facendo, la stagione appresso arrivano le notifiche d’inadempienza e insufficienza, con relativo avviso circa la pericolosità dei nostri conti. Uscendo da questa farsa, proviamo a ragionare delle ultime misurazioni fatte dalla Commissione europea, carezzevoli quanto una raspa.
Checché ne dicano, il debito italiano è affidabile. Il debito aggregato, pubblico più privato, in rapporto al patrimonio, lo è quanto quello tedesco. Con il non secondario dettaglio che noi abbiamo sempre pagato i debiti, mentre i tedeschi (e stiamo parlando di tragedie della storia, che oggi la memoria c’impone di considerare con muto raccapriccio) no. Queste cose le scrivevamo nel 2010-2011 e le ripetiamo oggi. Il guaio è che prescindono dall’operato di chi ne mena vanto. E qui veniamo al dunque.
Secondo la Commissione i nostri conti sono in equilibrio nel lungo periodo (sperando, secondo la realistica osservazione di Keynes, non sia quello in cui saremo tutti morti). Che bello. Come mai? Perché abbiamo fatto la riforma del sistema pensionistico. Cioè: sono in equilibrio grazie a quel lungo processo riformatore che partì con la legge Amato, passò da quella Dini, s’arrampicò sullo scalone Maroni e giunge a compimento con la Fornero. Sono in equilibrio, quindi, grazie a quanto la forza dominante il governo odierno ha costantemente avversato e periodicamente demolito. Così, giusto per capirsi.
Ma il governo in carica replica: è merito nostro avere diminuito il debito pubblico. No, per niente, se non altro perché il debito pubblico è cresciuto. Il governo accampa come merito la diminuzione futura. Ma, attenzione, la previsione è di arrivare, nel 2020, ad avere un debito pubblico poco sotto il 120% del prodotto interno lordo, vale a dire al doppio di quanto fissano i parametri europei. Il che, oltre a non essere per nulla entusiasmante, è vero solo a patto che la crescita sia quella prevista, del che è lecito dubitare (fin qui non lo è stata). Ed è vero solo perché, in quel lasso di tempo, è previsto un apporto dello 0.5% annuo (sempre in rapporto al pil) dalle privatizzazioni. Vuol dire che vendiamo patrimonio non per abbattere il debito (come sarebbe saggio), ma perché non cresca più della ricchezza generata. Un incubo dilapidatorio. Nel frattempo, a conferma dell’incubo, sia la spesa pubblica che la pressione fiscale sono cresciute. Dimostrando che le chiacchiere sono tali.
Il tutto dando per assodato che i tassi d’interesse rimangano a zero, perché se la presa della Banca centrale europea dovesse non essere più solida come oggi, se quei tassi si alzassero, il debito tornerebbe a costarci considerevolmente più di quanta ricchezza si produce, con il risultato di crescere alimentato da sé medesimo. Ecco perché, giustamente, ci si fa osservare che i nostri conti sono troppo esposti al pericolo di shock esterni. O, se si preferisce dirla in modo diverso, che i nostri “progressi” sono dovuti, più che ad altro, al beneficio tratto da politiche fatte a Francoforte.
Continuo a dire che il nostro debito è sostenibile, come anche che c’è un’Italia esposta alla concorrenza e alla globalizzazione che ha dimostrato e quotidianamente dimostra di sapere correre e vincere, con famiglie parsimoniose e generatrici di risparmio. Ma questa non è l’attenuante, bensì l’aggravante di politiche governative che pensano di potere far il surf sulle scelte azzeccate da altri e sul lavoro fatto da altri.
Con la pipinara delle bocciature e delle promozioni, con la sceneggiata dei pugni sul tavolo e delle foto affettuose, si può fornire materiale ai sempre meno numerosi e convincenti propagandisti da gazebo, ma non si cambia di un capello la severità di conti che ancora attendono serie politiche di rilancio, fatte di abbattimento del debito, tagli alla spesa corrente ed esorcismo del satanismo fiscale. L’esatto opposto del clientelismo autoconsolatorio, incarnatosi nei bonus a nulla.
Pubblicato da Libero