Si provi a immaginare cosa sarebbe la stagione che stiamo vivendo se non disponessimo della moneta comune, dell’euro e della sua saldezza. E si provi a immaginare lo scontro commerciale senza la tanto deprecata e pochissimo conosciuta regolamentazione europea, senza i vincoli giustamente introdotti a difesa dei consumatori. Staremmo ballando come tarantolati, mentre oggi affrontiamo il disagio del protezionismo americano con l’aria di chiederci fin dove credono di potere arrivare. Mai dare per scontati i propri punti di forza e ricordarli costantemente, per non perderli.
A quelli che credono sia una furbata supporre che si possa negoziare senza la protezione Ue verrebbe voglia di chiedere se ricordano le sconclusionatezze che dissero sulle regolamentazioni europee circa gli alimentari. Ricordano quando sostennero che i prodotti italiani vanno protetti rispetto a regole che prevedevano Ogm e insetti? Che, ovviamente, non era neanche vero in quei termini. Oggi quelle regole sono considerate troppo restrittive dagli Usa (ovvero l’opposto di quel che i sovranisti alla carbonara sostennero) e senza saremmo sottoposti alla irresistibile pressione di importare più carne con troppi ormoni e più vegetali con troppi pesticidi. Fortunatamente siamo forti di quelle regole europee.
Ma torniamo alla moneta, anche per tessere un elogio del ministro Giorgetti. Intanto è suo il merito del recente giudizio positivo, consegnato ai mercati da Standard & Poor’s. I titoli del nostro debito pubblico rimangono sempre troppo vicini al livello della spazzatura, dove non sarebbero negoziabili dalle banche centrali (e la Banca centrale europea, per prevenire quel pericolo italiano, stabilì che non li avrebbe negoziati soltanto se vi fossero state tre contemporanee degradazioni a spazzatura), ma il segnale è molto importante: abbiamo passato troppo tempo a festeggiare – ipocritamente – la conferma delle pessime posizioni, mentre ora si può legittimamente festeggiare la salita di un gradino. Al ministro dell’Economia va il merito di non avere ceduto alle moltissime pressioni per allargare la spesa in deficit. E fa malissimo il Partito democratico a commentare, con superficiale qualunquismo, che non sono queste le cose che interessano ai cittadini. Perché siamo proprio noi cittadini a pagare il prezzo dei giudizi negativi.
Giorgetti ha di recente aggiunto che l’euro deve crescere e divenire valuta di riferimento nelle transazioni internazionali. Giusto, specie nella stagione in cui il dollaro è prevedibile che balli più per ragioni politiche che di mercato. Ha appoggiato la scelta della Bce di arrivare presto a un euro digitale, anche per difendere i nostri sistemi di pagamento da eventuali alzate d’ingegno della Casa Bianca. Aggiungendo che la spinta di Trump a favore delle criptovalute (mercato a dir poco opaco e che ha già rifilato colossali fregature ai risparmiatori) ha una portata distruttiva superiore a quella degli stessi dazi messi a caso. Tutto giusto e tutto condivisibile. Applausi.
Ma Giorgetti non è stato eletto in una lista che recava nel simbolo l’intenzione di far uscire l’Italia dall’euro, propugnando un ritorno all’autarchica lira? Non si ritrova in un partito che dice di pensarla come Trump e trova più che giuste le sue parole? Per carità, mille volte meglio la versione scritta di quella orale. Ma l’usare (o il tacere mentre altri usano) propagande insensate e distruttive per acquisire la forza che porta a governare, salvo poi comportarsi in maniera ragionevole, riduce il danno ma scassa il confronto democratico. Naturalmente negherebbe (come negano tutti) e addurrebbe l’osservazione secondo cui “il mondo è cambiato” o, addirittura, la pretesa che sia cambiata l’Ue. Ma è un infantile giuoco di parole. Tutto cambia sempre e in continuazione, ma la coerenza – anche nell’avvertire dei legittimi cambi di opinione – è la moralità stessa della politica, in democrazia.
Noi ci si trova nella mesta condizione di doverci congratulare per l’incoerenza.
Davide Giacalone
Pubblicato da La Ragione
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